Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 12 novembre 2016


Santità o morte


Santificatevi e siate santi, perché io sono santo (Lev 11, 44; cf. 1 Pt 1, 16).

Come è falsa l’opinione che quanto si faceva e insegnava prima dell’ultimo Concilio fosse tutto da aborrire e cancellare, così lo è quella che quanto si è fatto e insegnato dopo sia da respingere e condannare in blocco. La prima è espressione di una mistificazione ideologica, la seconda di una strategia difensiva che rischia di diventare settaria. Certo, non è il deposito trasmessoci dalla Tradizione che andava riformato, ma è il modo di pensarlo e di viverlo che avrebbe potuto essere rinnovato nella continuità, in quel processo vitale di crescita che si attua nella Chiesa sotto l’impulso e la guida dello Spirito Santo. D’altronde la fedeltà alla Tradizione non esclude nuovi sviluppi né ulteriori progressi nella comprensione e attuazione di ciò che Cristo ha affidato agli Apostoli: il Regno di Dio germinato in terra è quel piccolo seme che, trasformatosi in albero maestoso, continua a produrre fiori e frutti.

Senza voler minimamente sminuire gli abomini dottrinali, morali e liturgici che imperversano da cinquant’anni e ai nostri giorni stanno raggiungendo il culmine, questo non è un motivo valido per idealizzare il passato e fissarlo in una versione immodificabile. Un certo modo di insegnare la dottrina e di guidare le anime ha ingenerato in tanti l’impressione di un Dio arcigno e lontano, se non astratto e incomprensibile, che esige sacrifici impossibili minacciando castighi e scagliando fulmini. Uno stile educativo improntato a una severità talvolta arbitraria provocava in molti casi un senso di frustrazione e di angoscia che negli adolescenti, già travolti dall’esplosione ormonale, diventava un formidabile detonatore della compulsione sessuale o di violente reazioni di rivolta, determinando il più delle volte l’abbandono della religione. Per rimediare ai guasti causati dal peccato originale nella nostra natura non basta l’indottrinamento o la disciplina, ma è necessario guidare le persone all’esperienza dell’amore di Dio.

Non è, questa, una ritirata nel sentimentalismo sotto la spinta di chissà quali pressioni, né un esausto cedimento all’onnipervasiva influenza dell’attuale neomodernismo. È semplicemente una presa di coscienza del pericolo di smarrire l’essenza della vita cristiana, oltre a perdere la pace interiore; sarebbe la più perfida vittoria del nemico. Nessuno nega che sia doveroso gridare allo scandalo e combattere l’errore con argomentazioni convincenti, ma in questo sforzo non dobbiamo dimenticare di essere solo strumenti: siamo strumenti liberi e consapevoli, certo, ma non arbitri della lotta. Non lasciamo che la polemica ci inaridisca interiormente, spingendoci a ridurre la fede a un complesso di freddi teoremi e a trascurare l’ineffabile amicizia divina. Il mondo – e buona parte della stessa Chiesa – sono sedotti da falsi profeti che procedono a forza di slogan di facile presa emotiva e snobbano le controversie come relitti di un ambiente chiuso allo “spirito”; così la maggior parte di quanti si ritengono credenti non riesce ormai a seguire neppure un’argomentazione delle più semplici. In un contesto del genere, rischiamo di parlarci addosso o di ribadire fra noi all’infinito quel che vorremmo sentirci dire dall’alto.

Molti di noi sono approdati alla Messa tradizionale in seguito a conversioni radicali in cui hanno sperimentato l’irruzione della grazia, che si è servita di strumenti imperfetti e ha guidato i neofiti per tappe progressive. Un atteggiamento troppo rigido basato su una visione manichea, da parte di un ministro sacro, avrebbe potuto stroncare o snaturare anche un sincero ritorno a Dio, vanificando così l’opera divina e trasformando il convertito o in un deluso o in un fanatico. Non bisogna rendere inappetibili la verità e il bene, né presentarli in modo che non siano fruibili se non da una ristretta cerchia di eletti. L’uomo non è soltanto ragione e volontà, ma anche cuore; mi risulta che ci siano sufficienti testimonianze della Tradizione per non sentirmi solo nell’affermarlo. Interrogate un sant’Agostino, un san Bonaventura, un san Giovanni della Croce… La vera teologia non ha mai divorziato dalla mistica, così come una mistica sana si fonda su una buona teologia. Chiamatelo sentimentalismo, se volete, ma io non rinuncio per questo alla ricerca di Dio.

L’emergenza attuale necessita indubbiamente di fini teologi e acuti controversisti, ma ancor più di mistici e di santi. Le due qualità non si escludono affatto, ma è oggettivamente raro che la stessa persona raggiunga le vette nell’uno e nell’altro campo, a meno che non riesca a sfruttare ogni minuto disponibile per pregare e studiare, facendo dello studio una preparazione alla vita di unione e un mezzo di santificazione condito di umiltà e compunzione. La scrutazione del mistero divino fa sgorgare lacrime di pentimento, nostalgia, gratitudine, esultanza, adorazione; esse preservano dalla presunzione e, quale pioggia celeste, fecondano uno sforzo che corre sempre il rischio di incagliarsi nelle secche del dottrinarismo o dell’intellettualismo. L’amore, l’amore è ciò che vuole il nostro Dio, mentre le anime fedeli reclamano dei santi… È sempre stato così, ma quanto più oggi! Come rispondere a quest’impari sfida, se non mettendosi totalmente a disposizione del Signore per mezzo di Maria, con tutte le proprie risorse ed esperienze?

La parola fa breccia nei cuori, permettendo così alla grazia di trasformarli, se chi parla vive ciò che dice o almeno desidera viverlo, applicando a sé per primo ciò che raccomanda agli altri. Quante volte mi è venuto da pensare, sul pulpito o in confessionale: «Perché non dico questo a me stesso?». Certo, il predicatore deve comunque proclamare la verità e il confessore applicare la dottrina, a prescindere dal modo in cui la vive personalmente e dal grado di santità che ha raggiunto; ma, se vi aderisce con tutto l’essere e si è votato a praticarla, la differenza si sente: il suo parlare ha un accento che muove gli animi, commuove i cuori, smuove i macigni, promuove i costumi. Il tono di un santo schiude l’accesso anche alle affermazioni più dure ad accettarsi dallo spirito del tempo: ebbene sì, Dio castiga ancora, pur servendosi delle cause create. Non è una visione ferma all’Antico Testamento (accusa di chiaro stampo marcionita), ma schiettamente evangelica: proprio perché Egli è misericordioso, utilizza anche mezzi di correzione, specie quando si abusa sfacciatamente della Sua pazienza. Poiché, oltretutto, la misericordia non annulla la giustizia, rimane pur vero che ogni peccato, anche se perdonato quanto all’offesa, deve comunque essere espiato quanto alla colpa, in questa vita o nell’altra; le prove che Dio permette sono quindi anche mezzi di purificazione.

Chi contesta questo – fosse pure vescovo, cardinale o papa – è fuori della Chiesa Cattolica, per il semplice fatto che nega implicitamente dei dogmi di fede come quelli riguardanti il Giudizio, l’Inferno e il Purgatorio. Un grande rappresentante del monachesimo quale san Colombano fa un’affermazione analoga – straordinariamente attuale – con quella perentoria chiarezza e libertà di spirito che è caratteristica dei Santi. Leggetela qui, seguita dalla lucida analisi di un giovane levita escluso dal sacerdozio a causa del suo attaccamento alla liturgia di sempre. Non è una sterile polemica in contraddizione con quanto scritto fin qui, ma il vibrante appello, in seguito all’infamia di Lund, di qualcuno che ama sinceramente Dio e la Chiesa e, non essendogli per ora concesso di servirli se non con la preghiera e l’offerta, cerca di farlo così. Preghiamo perché si apra una via per lui e per quanti sono in situazioni analoghe, vittime delle accecanti ingiustizie perpetrate in nome dell’imperante misericordismo dei lupi travestiti da agnello.

7 commenti:

  1. Padre, Lei stesso ha detto di essere cresciuto in tempi di post-Concilio: su quale base afferma che la catechesi preconciliare avrebbe determinato le "impressioni" che poi descrive?
    Detto questo, La inviterei a convincermi, e ne sarei felice veramente, che l'ecumenismo è accettabile in una ottica dell'ermeneutica della continuità, così come la sopravvivenza al deicidio dell'antica alleanza.
    Sia lodato Gesù Cristo.

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    1. Senza voler generalizzare, ne parlo sulla base di testimonianze raccolte da parenti e conoscenti, la cui esperienza non esaurisce certo la realtà di allora, ma è comunque indicativa di un malessere che in certi casi era motivato. Questo non è certo un motivo per avallare tutte le deviazioni che sono seguite all'ultimo Concilio, ma per evitare dicotomie manichee tra prima e dopo.
      Non cercherò di convincerLa che l'ecumenismo o l'idea della sopravvivenza dell'antica alleanza si possano comprendere in un'ermeneutica della continuità, dato che non lo penso neanch'io, a meno che non si intenda per ecumenismo l'insieme degli sforzi volti a ricondurre i cristiani separati all'unità cattolica dell'unica fede e dell'unica Chiesa.

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  2. Non crede don Elia che il grido di dolore del giovane levita, cui viene negato il sacerdozio, sia straziante e gridi vendetta di fronte a Dio? E non crede che sia altrettanto intollerabile il silenzio complice dei tanti preti, per primi, che riempiono il Rosario di intenzioni per le sante vocazioni? Gli stessi che, come scrive argutamente Gnocchi, per primi, ignorano la dottrina,irridono ormai i seguaci della traditio (della Chiesa),non si occupano d'altro se non dell'ammoore,dei poveri, quelli che ritengono loro,delle minoranze che però sono maggioranza economica, politica, sociale, decisionale? Gli stessi che fino a Benedetto XVI si sarebbero dati fuoco pur di non far passare le Corinna', le 190, le aule senza crocifisso ed il Natale senza presepe.Gli stessi che "sei tu che ti metti fuori della comunità e della comunione se segui la liturgia di sempre" che, come Lei sottolinea, è un esperienza incredibile di grazia, una scoperta dello Spirito nella fede,un canto armonioso ritrovato nella culla del proprio cuore. Che ne sarà di questi pupi, di questi giovani chierici già invecchiati nella ricerca di un sicuro impiego, di questi vecchi chierici giovanilisti che sognano il '68, le marce antivietnam, Cuba e Fidel,Mao e il Che, ma che devono accontentarsi di Scalfari, Bonino, Napolitano? Che pena! In quale recesso dell'umanità saranno confinati e sarà poi possibile tirarli fuori?

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    1. Indubbiamente si prega e fa pregare molto per le vocazioni, ma non sembra che si vogliano veramente dei sacerdoti, quanto piuttosto degli animatori od organizzatori socio-religiosi... Come può il Signore ascoltare quelle preghiere, specie nel vedere l'ostilità preconcetta che molti vescovi hanno verso i preti fedeli alla loro vocazione? Nella gerarchia odierna siamo effettivamente costretti a rilevare comportamenti da banderuola, giustificati con un richiamo alla "comunione" che suona purtroppo ipocrita e vuoto. Che cosa risponderanno al Giudice divino? Che Dio abbia misericordia di loro, concedendo loro la grazia della resipiscenza e della conversione.

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  3. Anch'io sono cresciuto nel postconcilio, e non penso sia solo una questione di prima o dopo, per me manca totalmente una fede da trasmettere dopo averla vissuta e sperimentata su di sé, questa è l'impressione che danno molti consacrati, mettici anche la poca voglia d'impegno dei'fedeli' o meglio il disinteresse totale che scade nel menefreghismo e non è questione di permessi o negazioni a celebrazioni tradizionaliste od altro, anche laddove siano permesse liberamente, al grosso della popolazione poco interessa e non ci sono folle numerose, perdoni la franchezza, ma è così. Confidiamo nel Signore, tutto passa, le Sue parole sono eterne, come Lui, noi oggi ci siamo, domani chissà. Buona domenica.

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  4. Il cattolico e' un frustrato perché la divina rivelazione trascende la sua coscienza; e la trascende perché è soprannaturale. Felice frustrazione dunque.

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  5. Ritento: il cattolico è un frustrato, perché la Divina Rivelazione trascende la semplice coscienza naturale dell'uomo; e la trascende perché è soprannaturale. Frustrazione felice, dunque. Giacché dice sant'Alfonso Maria de' Liguori, a proposito dell'islam: che meraviglia è che l'acqua scenda dall'alto. E' meraviglia se sale. E solo nel cattolicesimo sale.

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