Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 24 settembre 2016


L’esorcista e il Vaticano


- Padre Amorth, il satanismo si diffonde sempre di più, il nuovo rituale rende difficile fare esorcismi, agli esorcisti si impedisce di partecipare a un’udienza con il Papa a piazza San Pietro. Mi dica sinceramente: cosa sta accadendo?
- Il fumo di Satana entra dappertutto. Dappertutto! Forse siamo stati esclusi dall’udienza del Papa perché avevano paura che tanti esorcisti riuscissero a cacciare via le legioni di demòni che si sono insediate in Vaticano.
- Sta scherzando, vero?
- Può sembrare una battuta, ma io credo che non lo sia. Non ho nessun dubbio che il demonio tenti soprattutto i vertici della Chiesa, come tenta tutti i  vertici, quelli politici e quelli industriali.
- Sta dicendo che anche qui, come in ogni guerra, Satana vuole conquistare i generali avversari?
- È una strategia vincente. Si tenta sempre di attuarla, soprattutto quando le difese dell’avversario sono deboli; e anche Satana ci prova. Ma grazie al Cielo c’è lo Spirito Santo che regge la Chiesa: «Le porte dell’inferno non prevarranno» [Mt 16, 18]. Nonostante le defezioni e nonostante i tradimenti, che non devono meravigliare. Il primo traditore fu uno degli Apostoli più vicini a Gesù: Giuda Iscariota. Però, nonostante questo, la Chiesa continua nel suo cammino. È tenuta in piedi dallo Spirito Santo e quindi tutte le lotte di Satana possono avere solo dei risultati parziali. Certo, il demonio può vincere delle battaglie, anche importanti; ma mai la guerra.

Lottare per strappare anime al demonio e trattenerle dal precipitare all’Inferno non è mai stato così difficile. Come già nel Gethsemani, Gesù è tradito e abbandonato dai Suoi amici, che dovrebbero parlare e agire in Sua vece. Invece che fanno? Con la complicità passiva degli ignavi, dei tiepidi e delle banderuole, che pensano solo alla poltrona e alla carriera, i rinnegati stanno portando a termine il loro nefasto programma, forti dell’appoggio manifesto del loro caporione. Autorizzando l’adulterio e il sacrilegio, essi sprofondano innumerevoli anime nell’abisso, fomentando ribellione e disprezzo contro i ministri fedeli di Dio. I vescovi argentini – somma ipocrisia – chiedono conferma di una scelta compiuta e praticata da tempo, e il loro ex-primate, che quella prassi già aveva seguito e incoraggiato, risponde che quanto da lui scritto in modo ambiguo (ma non più di tanto per chi legge tra le righe) va effettivamente interpretato nel modo più radicale, cioè in senso contrario alla dottrina cattolica e al Magistero costante della Chiesa.

Uno dei principali estensori dell’esecrando documento sulla gioia dell’amore, del resto, è noto per un trattatello “teologico” sul… bacio, intitolato Sáname con tu boca: un incitamento all’erotismo che, scritto dal rettore dell’Università Cattolica (?) di Buenos Aires, elevato dal conterraneo alla dignità di arcivescovo, spinge a domandarsi da dove gli provenga la competenza in materia. Che ingenuo! Tutti sanno che il celibato sacerdotale, in America Latina, è una fictio iuris; del resto si ventila già che il prossimo sinodo sarà dedicato proprio alla sua demolizione. Se poi ci sono teologi e filosofi che contestano pubblicamente i lampanti errori dell’esortazione apostolica al peccato, il dittatore fa sapere, conversando con il gay friendly arcivescovo di Vienna, che gli oppositori van trattati «con amorevolezza», onde persuaderli dolcemente ad accettare l’inaccettabile. Il fatto è che, in casi come questo, non è tanto l’amorevolezza che si richiede, quanto risposte serie e argomentate alle obiezioni avanzate – risposte che, ovviamente, non saranno mai fornite. E gli oltre duecento cardinali ai quali la lettera è stata inviata? Silenzio su tutta la linea, salvo un paio di coraggiosi presuli emeriti – e quindi fuori gioco.

Alla propaganda del regime basta forse, nel mutismo generale indotto dal terrore, imporre la propria versione come l’unica possibile? Qualcuno potrebbe appellarsi al predecessore e implorare una sua presa di posizione chiarificatrice, cosa purtroppo impossibile. Se però ci fosse chi fantasticasse su un eventuale disaccordo, ecco i libri-intervista in cui l’anziano pontefice dimissionario dà sponda al successore in modo a dir poco smaccato. Peccato però che le bugie – comprese quelle del diavolo e dei suoi accoliti, che sono indubbiamente ben confezionate – abbiano comunque le gambe corte. Eh sì, perché almeno in un caso la distorsione dei fatti è innegabile: laddove si fa dire a Benedetto XVI di aver voluto personalmente il conferimento della direzione dello IOR al barone von Freyberg, dopo la clamorosa rimozione di Gotti Tedeschi. La realtà documentata è invece che essa avvenne a sua insaputa e contro il suo volere, dato che egli stesso lo aveva scelto per il risanamento delle finanze vaticane. Con la sua nota delicatezza, per non sconfessare platealmente il Segretario di Stato il Papa sospese l’esecuzione del provvedimento e tenne con discrezione i contatti con il defenestrato allo scopo di reinsediarlo qualche mese dopo.

Fu così che, il 7 febbraio 2013, Gotti Tedeschi fu convocato in Vaticano per essere informato che, di lì a qualche giorno, avrebbe ripreso le sue funzioni per espressa volontà del Sommo Pontefice. Inspiegabilmente, quattro giorni più tardi, quest’ultimo annunciava le sue dimissioni e dopo appena tre giorni, il 14 febbraio, veniva nominato von Freyberg. Uno sviluppo troppo incongruente per non risultare sospetto… Che cosa è successo in quella settimana, oltre alla temporanea sospensione della Città del Vaticano dal circuito SWIFT? Quali intrecci di denaro e di potere hanno determinato gli eventi? Al centro di tutto, in ogni caso, sembra esserci proprio la questione dello IOR, che è servito – e probabilmente serve ancora – da paradiso fiscale per il riciclaggio di denaro sporco e, forse, anche per finanziamenti illeciti, ciò che papa Ratzinger aveva messo mano a correggere per mezzo dell’uomo da lui scelto. Risultato: entrambi eliminati dalla scena. Ma di che ci meravigliamo, se il Vaticano rigurgita di demòni? Potere, denaro e sesso sono da sempre le trappole preferite dal diavolo per rendere gli uomini suoi schiavi.

L’anziano esorcista, per parlare con tanta franchezza, era sicuramente a conoscenza di fatti che noi ignoriamo, il più delle volte rivelati dagli spiriti immondi o perché costretti o per vanteria. Egli non poteva di certo scherzare su un argomento così serio. Sempre e solo per permissione divina, sembra che Satana, in questo momento, abbia occupato i posti-chiave della Chiesa Cattolica e stia vincendo tutte le battaglie; ma noi sappiamo che Cristo ha già vinto la guerra e che, alla fine, la vera Chiesa trionferà grazie al Suo intervento. Il Signore della storia si servirà di una potenza straniera per sloggiare gli usurpatori e castigarli come meritano; poi, scortati da autobotti di acqua esorcizzata, i Suoi eletti riprenderanno possesso del luogo che è il cuore della cristianità. È proprio quello che, simbolicamente, abbiamo inteso fare con la consacrazione del 4 giugno in San Pietro. Che padre Gabriele interceda ora per noi dal cielo e ci insegni, con la sua testimonianza, a combattere con coraggio e saggezza.
 

sabato 17 settembre 2016


Errore invincibile?


Prima salus est, rectae fidei regulam custodire (IV Concilio di Costantinopoli, 869-870).

Errore invincibile è quello che una persona non è soggettivamente in grado di correggere perché non ne ha i mezzi o l’opportunità, pur avendone, in quanto essere ragionevole, la capacità oggettiva; la sua causa è quindi una situazione contingente che non dipende dalla volontà dell’individuo. Diverso è il caso dell’ignoranza crassa, dovuta a inadempienze od omissioni che una coscienza lassa giustifica o tollera a torto come insuperabili, quando invece basterebbe molto poco per accertare la verità. In una società dominata da mezzi di comunicazione di massa che impongono un’informazione ingannevole e sono strumento di manipolazione collettiva, l’errore invincibile è inevitabilmente abbastanza comune, anche se è diventato molto più agevole, grazie alla Rete, accedere a fonti alternative (di cui non sempre è certa, tuttavia, l’attendibilità). Che dire, però, se l’opera di mistificazione non riguarda unicamente i fatti del mondo, ma si estende alla fede e alla morale, coinvolgendo i cattolici e i loro Pastori?

Effettivamente, dopo il Concilio Vaticano II anche un cattolico e perfino un religioso o un sacerdote può essere in errore invincibile, cioè credere una falsa dottrina pur essendo in buona fede. Lo sviamento causato dalle ambiguità e dagli errori introdotti in alcuni testi conciliari può essere un castigo per chi è tiepido o incline al compromesso; ma per chi ama sinceramente Dio e lo serve fedelmente? In questo secondo caso è un vaglio con cui Dio lo prova per separarlo dalla pula. Il dramma si verifica se un fedele – anche di media cultura religiosa, come un insegnante – dà il suo assenso interiore a novità dottrinali perché è l’autorità ecclesiastica ad insegnarle, ciò che in effetti è successo: non ne sarà colpevole (a motivo della fiducia che gli è stato insegnato a riporre in essa) o ne sarà colpevole solo in parte (qualora abbia avuto i mezzi spirituali e intellettuali per prenderne le distanze e non ne abbia fatto l’uso dovuto), ma in ogni caso, oggettivamente, cadrà in errore – e quellerrore determinerà le sue scelte.

La prima necessità, per un cristiano, è quindi che la sua fede sia retta, cioè aderente alla verità rivelata da Dio e costantemente insegnata dalla Chiesa: la salvezza consiste innanzitutto – insegna l’ottavo Concilio ecumenico, citato dal Concilio Vaticano I nella Costituzione dogmatica Pastor aeternus – nel custodire la regola della retta fede. Solo questa fede ci consente di essere realmente uniti a Cristo con la grazia santificante e di esercitare la carità soprannaturale. Il Signore ci sta passando al vaglio nel senso che ci mette singolarmente davanti a una scelta: o manteniamo ferma l’immutabile professione di fede che ci è stata trasmessa o acconsentiamo alle novità dottrinali. Questa scelta è possibile a tutti e lo Spirito Santo aiuta a compierla chi ha una coscienza retta. Le opere buone, per essere veramente tali, presuppongono la retta fede. Posta questa condizione imprescindibile, non a tutti è richiesto di esercitare le virtù in grado eroico; viceversa, se uno esercita le virtù in modo eminente, ma non ha la retta fede, esse non hanno valore soprannaturale, quindi non accrescono la sua santità… a meno che non sia in errore invincibile. Che succede in questo caso? È un fatto inedito di non facile discernimento.

Nei processi di beatificazione e canonizzazione si accerta anzitutto la retta fede del candidato sulla base dei suoi scritti e dei suoi discorsi; anche un’ombra o un sospetto in questo ambito costituisce un discrimine e può determinare un reponatur. Una volta accertata l’ortodossia, si passa all’esame delle opere e delle virtù. Nella vita dei Santi, poi, un segno inequivocabile del loro alto grado di unione con Cristo sono normalmente i miracoli (fra cui le guarigioni inspiegabili dal punto di vista naturale), anche se si tiene conto soltanto di quelli compiuti post mortem. Detto questo, lasciamo evidentemente il giudizio alla competente autorità ecclesiastica, ma non possiamo certo ignorare affermazioni contrarie alla fede che non possono essere giustificate dal contesto, ma al massimo spiegate nel clima generale di deviazione dalla fede autentica. I nemici di Dio, in ogni caso, sono stati così abili e subdoli da mettere in crisi l’attività con cui la Chiesa propaga la salvezza e da inficiare proprio il mezzo di evangelizzazione più potente, ossia la santità.

I mali di oggi, del resto, non sono certo scoppiati di colpo o dal nulla. Se un concilio dichiara che «la Chiesa Cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo» nelle religioni umane, considerando «con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini» (Nostra aetate, 2), per qual motivo essa è tenuta ad annunciare Cristo agli altri? Solo perché in Lui «gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa» senza esser prima liberati dalle tenebre delle false credenze e dal giogo del peccato, quasi fosse una mera questione di misura in cui si conosce e aderisce a Dio, che sarebbe già noto e amato da chi è pur in errore? Sa molto di gnosi… E perché mai i non cristiani dovrebbero convertirsi alla fede cattolica, visto che la Chiesa «esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana [un colpo al cerchio e uno alla botte], riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in esse»?

Se è vero che «nell’induismo gli uomini scrutano il mistero divino e lo esprimono con l’inesauribile fecondità dei miti e con i penetranti tentativi della filosofia», cercando «la liberazione dalle angosce della nostra condizione sia attraverso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel rifugio in Dio con amore e confidenza», come mai quella religione costringe turbe innumerevoli alla miseria più nera, per giunta colpevolizzandole perché la loro situazione sarebbe frutto di peccati commessi in una vita precedente? E visto che «nel buddismo, secondo le sue varie scuole, viene riconosciuta la radicale insufficienza di questo mondo mutevole e si insegna una via per la quale gli uomini, con cuore devoto e confidente, siano capaci di acquistare lo stato di liberazione perfetta o di pervenire allo stato di illuminazione suprema per mezzo dei propri sforzi o con l’aiuto venuto dall’alto», perché non ci mettiamo tutti a praticare lo yoga, così da essere perfettamente liberati mediante un’alienazione mentale e supremamente illuminati da Lucifero?

Com’è possibile che duemilacinquecento vescovi abbiano firmato una castroneria del genere e che un papa l’abbia promulgata con l’autorità del Vicario di Cristo? Com’è possibile che centinaia di milioni di cattolici, compresi chierici e religiosi, abbiano tranquillamente trangugiato tali palesi e grossolane menzogne, senza nemmeno chiedersi come mai il catechismo aveva sempre insegnato il contrario? Com’è possibile che Dio abbia permesso una simile catastrofe morale e spirituale nella Sua vigna diletta, in cui ci sono monaci, preti e suore che praticano e insegnano la meditazione orientale, contraendo e facendo contrarre infestazioni maligne? La sola risposta plausibile a questa domanda è contenuta nella visione di Leone XIII, ricevuta il 13 ottobre 1884 (esattamente trentatré anni prima dell’ultima apparizione mariana a Fatima). Con la permissione divina, Satana è libero, per cento anni, di compiere tutto il male di cui è capace per distruggere, se possibile, la santa Chiesa di Cristo – e una pioggia di demòni si è abbattuta sulla sede petrina.

Nella confusione generale di quest’ultimo mezzo secolo, chi ha evitato le trappole o ne è venuto fuori lo deve alla grazia, ad una grazia inestimabile di cui deve rendere grazie giorno e notte. Nulla, dunque, faccia mai vacillare la speranza: è una delle più sottili e dannose tentazioni del demonio. Confidiamo invece nel Cuore immacolato di Maria: la Madonna non permette che si smarrisca nella fede chi Le si è consacrato, e gli ottiene tutte le grazie necessarie per santificarsi con l’esercizio di una vera carità (che richiede anche, beninteso, lo sforzo personale). La prima forma di amore è cercare di aprire gli occhi a chi è disposto a lasciarseli aprire. È dai frutti che si riconosce l’albero: se il risultato è un’apostasia nascosta, ma reale, il Concilio Vaticano II, salvato il salvabile, non può essere accolto nella sua interezza, né tanto meno se ne può esigere il riconoscimento come conditio sine qua non per esercitare legittimamente il sacro ministero nella Chiesa Cattolica. Si convertano piuttosto coloro che ancora oggi, mettendo a repentaglio la salvezza delle anime, traviano il popolo cristiano, a cominciare dal loro capo.

sabato 10 settembre 2016


Passati al vaglio


Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Gv 14, 6).

Aiutare un indù ad essere un indù migliore significa aiutarlo ad assoggettarsi di più ai demòni che adora e all’iniquo sistema sociale creato dalla sua religione, che ha provocato e mantiene condizioni di miseria spaventosa, che non basta alleviare senza risalire alle sue cause. Aiutare un musulmano ad essere un musulmano migliore significa aiutarlo a sottomettersi ancor più ad una divinità lontana e inaccessibile, la cui “misericordia” arbitraria, assomigliando piuttosto al capriccio di un tiranno, tiene i suoi fedeli prigionieri di un fatalismo irrazionale e proni ad autorità oppressive che non li lasciano nemmeno pensare in modo autonomo. Aiutare un buddista ad essere un buddista migliore significa incoraggiarlo a pratiche alienanti che aprono la porta dell’anima a forze oscure che erroneamente ritiene benefiche. Aiutare un cattolico ad essere un cattolico migliore significa aiutarlo a conformare il proprio cuore e la propria vita a Cristo mediante la preghiera, la lotta al peccato e la pratica delle virtù, informate e coronate dalla carità.

Come si vede chiaramente, non è certo la stessa cosa; tra le religioni false (perché elaborate dagli uomini) e l’unica vera (perché rivelata da Dio) la differenza è abissale, tanto che i rispettivi esiti sono diametralmente opposti. Se un cristiano è violento, non lo è certo perché il Vangelo gli insegni questo, con buona pace di chi sostiene che in ciò non si distingue da un musulmano: egli commette un peccato che, se grave, lo esclude dalla vita di grazia. Se un adepto di altre religioni, invece, è violento, iracondo, perverso, sleale, ingiusto o impudico, lo è anche perché il suo culto idolatrico a questo lo autorizza e incoraggia. Cambierà pur qualcosa, nella vita delle persone, tra l’adorare il vero Dio e il render culto agli spiriti immondi… e non vengano a ripeterci ancora la storia dei semi del Verbo, che possono essere eventualmente rintracciati in quegli elementi culturali che sono frutto della retta ragione, non in dottrine religiose ad essa contrarie e zeppe di errori.

Se san Giustino, a metà del II secolo, ricorse ai miti pagani per difendere e spiegare la fede cristiana, lo fece per adattarsi all’uditorio andando incontro alla sua mentalità, mostrandone al tempo stesso l’inadeguatezza e fornendo argomenti alla superiorità del nuovo credo. A differenza dei protestanti, del resto, noi crediamo che il peccato originale non ha tolto all’uomo il lume della ragione, pur offuscandone l’intelletto; per questo la teologia cattolica ha assunto e valorizzato quanto di vero era presente nella filosofia dell’antichità, senza la quale non avremmo né la patristica né la scolastica. La cultura greco-romana, in ogni caso, è stata preparata dalla Provvidenza a servire alla riflessione cristiana sulla verità rivelata; le culture asiatiche ne sono invece generalmente lontanissime, salvo per quegli elementi di saggezza naturale che sono eventualmente frutto, appunto, di un retto uso del raziocinio (che nella condizione decaduta dell’uomo non è certo la regola).

Questo sano realismo ha permesso alla Chiesa, nei secoli passati, di liberare interi popoli dalla cappa tenebrosa dell’errore e dall’opprimente schiavitù di sistemi socio-religiosi disumani, finché nelle facoltà teologiche, sotto la spinta di dichiarazioni conciliari prive di qualsiasi valore dottrinale, non si è cominciato ad esaltare i “valori” dei culti non cristiani, svalutando l’opera evangelizzatrice come indebita aggressione delle altre culture e propagazione coloniale di una visione occidentale, quasi la verità cattolica fosse appannaggio di una parte del mondo e non avesse invece prodotto, ovunque si fosse diffusa, mirabili sintesi di fede e cultura. È comunque risaputo che quei testi esiziali uscirono da teste non certo ortodosse e, in alcuni casi, nemmeno cristiane.

Le virtù dei pagani – si diceva nell’età patristica – sono splendidi vizi, cioè vizi che risplendono con l’apparenza delle virtù. La compassione buddista, a torto ritenuta così vicina alla carità cristiana, in realtà non ha nulla a che vedere con essa. L’uomo decaduto non può realizzare realmente il bene se non nel nome di Cristo e sotto l’azione della grazia, cioè solo in seguito alla giustificazione. Un non cristiano può certo compiere azioni materialmente buone, ma non azioni meritevoli in vista della sua salvezza. Perché un atto umano abbia valore davanti a Dio è necessario che esso sia mosso dalla carità soprannaturale, che in via ordinaria è presente soltanto nell’anima del battezzato in stato di grazia e di cui, eccezionalmente, un rivolo può scorrere in chi, pur avendo una coscienza retta, crede in una falsa dottrina filosofica o religiosa per errore invincibile (e quindi senza sua colpa). Nella compassione di un buddista, quindi, c’è normalmente solo uno sforzo umano di autoperfezionamento nel quale, alle condizioni sopraddette, può rintracciarsi in via eccezionale un germe di carità, che per svilupparsi pienamente ha però bisogno della conversione alla vera fede.

Può viceversa capitare che un cattolico, ponendo ostacolo alla grazia, smetta inconsapevolmente di esercitare la carità teologale e finisca con l’imitare la compassione del buddista. Il risultato visibile sembrerà ai più immutato, ma il movente interiore – e quindi la qualità morale delle azioni – sarà inevitabilmente tutt’altro, come si può arguire (senza per questo pretendere di giudicare la coscienza) dall’esterno, cioè da evidenti omissioni o da scelte errate. Il così funesto ostacolo alla grazia può essere posto dallo stato di peccato mortale o da erronee convinzioni in materia di fede. Escluso il primo caso, bisogna indagare il secondo. Proprio su questo punto, purtroppo, tanti cattolici odierni, anche additati come santi, risultano coinvolti; senza una retta fede, però, non è possibile esercitare la carità e nutrire una fondata speranza, salva l’eccezione sopra enunciata per i non-cristiani. Ma l’errore invincibile è ammissibile in un cattolico, specie se professo?

I trattati di teologia spirituale, sulla base dell’esperienza di tanti mistici, concordano nel ritenere la notte dello spirito una fase transitoria, che ha di solito termine in un arco di tempo ragionevole e sfocia nell’unione trasformante. Una prova del genere che duri cinquant’anni è un fatto rarissimo, che può eventualmente esser disposto da Dio come continuato martirio bianco di un’anima chiamata allo stato di vittima. Con tutta la cautela e il rispetto necessario, possiamo tuttavia domandarci: che succede se, dietro l’apparenza di una notte spirituale, si celano tenebre provocate da un cedimento all’incredulità? Condizioni di vita impossibili, cui si sommano una terribile prova interiore e lo spettacolo quotidiano di una miseria rivoltante, potrebbero condurre un’anima estremamente sensibile alla resa, specie se la coscienza è attanagliata da un senso di impotenza riguardo al dovere di portare gli uomini a Cristo. Un cattivo suggerimento accolto perché scambiato per ispirazione dello Spirito Santo… ed è fatta: il nemico ha vinto senza darlo a vedere.

Ma perché il Signore permetterebbe tale tragica illusione in qualcuno che lo ami sinceramente e lo serva in modo eroico? Egli può dunque lasciare che questa persona, a un dato momento, sostituisca inavvertitamente il Dio vivente con un’idea della sua mente? E può lasciare che milioni di fedeli la considerino santa e la prendano a modello? Ci sono fatti che avvengono nell’intimo della coscienza individuale e che Dio solo conosce; ma se un cattolico, in quel santuario inaccessibile, acconsente a un’ipotesi che sa contraria alla dottrina definita della Chiesa, le conseguenze saranno evidenti e inevitabilmente disastrose. Torniamo tuttavia a domandarci: perché il Signore lo permette? Forse il motivo è analogo a quello per cui ha lasciato che un Papa baciasse il Corano o presiedesse cerimonie sincretistiche, pur essendo per altri versi un gigante. D’altra parte, questo è ciò che vogliono il mondo e la gente. È un dolore immenso, ma necessario: Dio ci sta passando al vaglio.

sabato 3 settembre 2016


Pandemonio


Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi (Mt 7, 6).

Nel linguaggio giudaico del I secolo, cui il Verbo incarnato si adattò, i cani designavano i pagani e i porci gli ebrei rinnegati. Il duro monito del Salvatore, così offensivo per le nostre delicate orecchie, progredite e tolleranti, proibisce di dare i santi Sacramenti a chi non professi la vera fede e non sia spiritualmente rinato nel Battesimo, mettendo al tempo stesso in guardia dal cercar di persuadere con le gemme della verità evangelica chi, pur essendo membro della Chiesa Cattolica, disprezza l’inestimabile grazia ricevuta e vive peggio di un pagano. Ecco i risultati di una pastorale che dà tutto senza condizioni e accontenta sempre i capricci del primo venuto: dopo aver calpestato le cose sante e le perle preziose, dotazione indispensabile per ottenere la vita eterna, per acquistare le quali val bene la pena rinunciare al resto, i “fedeli” di oggi si rivoltano contro gli araldi di Cristo, pronti a sbranarli con una rabbia che ha qualcosa di demoniaco.

È la triste realtà dei nostri giorni, particolarmente evidente nei momenti di prova inattesa. Anziché rendersi conto che in un istante, anche nel sonno, ci si può ritrovare davanti al giudizio divino, così da trarne le dovute conseguenze, ci sono terremotati che bestemmiano Dio con livore, mentre i Suoi ministri non sanno più che dire per consolare il dolore ribelle, né osano tanto meno richiamarli alla conversione. Se una laica, in modo conforme alla dottrina cattolica, si azzarda a proporre di pregare per le vittime, subisce un linciaggio morale come un odioso negatore della libertà individuale: se un poveretto morto sotto le macerie senza i Sacramenti vuole andare all’Inferno, bisogna rispettare la sua volontà. Perché non si leggono la testimonianza di Gloria Polo, strappata alle fauci dell’abisso da un contadino miserabile che, appresa dal giornale la sua situazione, ha pregato per lei con fede sincera, facendo voto al contempo di compiere un pellegrinaggio?

A forza di commettere spensieratamente comunioni sacrileghe, ci si può beccare un’infestazione maligna. Non si spiega diversamente l’astio bestiale e l’irragionevole ottusità di certe reazioni: ci sono individui – molto più numerosi di quanto si creda – che pensano e agiscono come dannati; la sola differenza è, teoricamente, che possono ancora salvarsi, ma ci vorrebbe una grazia eccezionale che, in un modo o in un altro, bisogna pur meritare. Chi può renderli consapevoli di questo? Siamo ormai ben oltre il tempo-limite perché questi discorsi ricevano ascolto. A un parroco può capitare, al termine di una Messa di suffragio, di arrivare a un pelo dall’aggressione fisica, scongiurata con un esorcismo pronunciato dal rifugio della sagrestia sprangata. Non è più lecito porre la minima esigenza a chi condanna il Creatore per essersi ripreso un’anima da Lui creata; tutto è dovuto, anche contro le semplici leggi della natura e dell’esistenza umana.

Da cinquant’anni, del resto, non si parla più del peccato originale né delle sue conseguenze; l’uomo è presentato come il centro dell’universo e la divinità come sua devota ancella; nessuna condotta è più giudicata, per non porre limiti a una sconfinata pretesa di libertà assoluta. È impensabile, in un contesto simile, parlare di obblighi e di castighi, con un Dio che non penserebbe che a far doni e favori a fondo perduto a creature che, ben lungi dal dover riconoscere la Sua signoria e voler corrispondere al Suo amore, devono sempre e soltanto far festa e godere di sé stesse con il pretesto della Sua amicizia. Se poi capita una disgrazia o una calamità naturale, come la mettiamo? Dov’era quel “dio” in quel momento? Come si è permesso di far succedere qualcosa del genere?

È duro doverlo ammettere: a seminare vento, si raccoglie tempesta. Viziare sistematicamente gli empi, abituandoli al sacrilegio e al disprezzo delle cose più sacre, significa allevare delle belve che, prima o poi, si rivoltano contro chi le ha nutrite. Provate poi a spiegare questo bel risultato con un po’ di sociologia da bancarella… e vi faranno a pezzi. Fenomeni di questo tipo vanno interpretati unendo il piano naturale a quello preternaturale, perché c’è di mezzo il mondo degli angeli ribelli. I Pastori, oltretutto, hanno tolto ogni difesa e abbattuto il baluardo mantenuto dalla Tradizione – e i demòni non si son certo fatti pregare. Ora, tra l’essere lapidati per le sciocchezze con cui si tenta di ammansire belve assatanate e l’esserlo perché si predica la sana dottrina a chi vuole intenderla, è senza dubbio più onorevole la seconda ipotesi. Non è un invito ad andare al massacro, ma almeno a risparmiarsi una fine ingloriosa. I profeti sono il tormento degli abitanti della terra, ma al momento fissato risorgeranno e saliranno al cielo (cf. Ap 11, 10-12).

Per permissione divina, giusto castigo dell’ostinato indurimento umano, il pozzo dell’abisso è stato aperto e ne è uscito un fumo che ha oscurato il sole; gli spiriti immondi ne son saltati fuori come cavallette e si sono sparsi sulla terra mordendo gli uomini come scorpioni (cf. Ap 9, 2-6). Il loro veleno stravolge le menti e rende loro la vita insopportabile, spingendole alla follia e prostrandole all’acquiescenza alle aberrazioni dei signori di questo mondo di tenebra. Lo scandalo peggiore è che gli esecutori materiali dell’ordine sono stati degli ecclesiastici, quelli che hanno dissigillato il pozzo e privato i fedeli della protezione soprannaturale. Anche Giuda fu deliberatamente ascritto fra i Dodici con un compito preciso assegnatogli dal piano divino; ciò non toglie che, essendosi lasciato sedurre dal diavolo mediante la volontà propria, sia stato pienamente responsabile del suo operato. Chi oggi lo scusa lo fa forse per rassicurare se stesso…

Fu a causa di un apostolo che il Sole di giustizia fu eclissato e le tenebre ricoprirono la terra, finché, il terzo giorno, sulla valle di lacrime non sfolgorò la luce increata. Non deve turbarci, dunque, che siano stati dei successori degli Apostoli a scatenare il pandemonio e a gettarci nel buio metafisico per cui la gente si morde la lingua dal dolore (cf. Ap 16, 10): è tutto previsto e tutto ha un fine, la maggior gloria di Dio e la salvezza degli uomini. Ora è il momento in cui il Signore verifica chi ne è degno. Come le aquile romane castigarono il popolo deicida, che aveva sfidato il suo Dio invocando su di sé il sangue del Giusto di cui stava reclamando la morte (cf. Mt 27, 25), così le aquile russe purificheranno la Sposa infedele, salvandola al contempo dalle scimitarre islamiche al soldo dei banchieri. Ma i figli della Donna vestita di sole dovranno rifugiarsi nel deserto per la durata del tempo stabilito (cf. Ap 12, 6.14). Per pura grazia siamo fra coloro che mantengono intatta la fede data allo Sposo; sempre con l’aiuto della grazia cerchiamo di corrispondergli perseverando in essa sino alla fine, nascosti nel Cuore immacolato di Maria.

«Le parole di Gesù aprono un nuovo orizzonte sul modo in cui si devono considerare le calamità pubbliche sociali, le guerre, le sopraffazioni e le tirannidi; le cause politiche o naturali che le determinano sono accidentali. La vera causa sta tutta nel peccato ed essa produce tutto il suo effetto disastroso, quando non ha il contrappeso della riparazione e della penitenza. Qualunque altra valutazione delle sventure pubbliche è sbagliata. Anche le sventure private hanno questa dolorosa causa, e l’ha molto più la sventura delle sventure, ossia la perdizione eterna, e perciò Gesù dice con parole generali: “Se non farete tutti penitenza, perirete tutti ugualmente” [cf. Lc 13, 3]» (don Dolindo Ruotolo, I quattro Vangeli. Psicologia – Commento – Meditazione, Frigento 2014³).