La sagra delle corbellerie
Sembra
che non ci sia proprio fine al getto continuo di bestialità cui ci ha abituato,
nostro malgrado, il pontificato targato AL (America Latina). Come però è stato
opportunamente osservato, anche nella Chiesa c’è un limite di sopportabilità,
pur con tutto l’aiuto della grazia, specie se chi dovrebbe rappresentare Nostro
Signore si diverte a bestemmiarlo come un ragazzino che sa di farla sempre e
comunque franca. Il tempo massimo di sopportazione di una prova permessa da Dio,
secondo la Bibbia, si aggira intorno ai tre anni e mezzo; possiamo quindi
chiedere convintamente al Cielo che, dal 13 settembre prossimo, dia un’occhiata
verso Santa Marta e provveda, in un modo o in un altro, a porre fine a questo
interminabile scandalo che devasta la vita delle anime.
Ce
ne siamo convinti subito, fin dall’inizio: anche le più madornali sciocchezze
sparate dall’innominabile personaggio sono ben studiate e calibrate secondo un
preciso progetto di demolizione controllata. E tuttavia si stenta a credere che un
individuo dotato di un’ignoranza così crassa che più crassa non si potrebbe sia
giunto alla posizione che occupa. Metteteci pure la mafia di San Gallo e tutte
le lobby gay del Vaticano, ma almeno
un po’ più di buon gusto avrebbero potuto averlo, se non altro per rispetto
dell’istituzione. Che ingenuo: gente rotta alla perversione morale e
intellettuale più ripugnante, che rispetto e che buon gusto può avere? Ma quel
che lascia veramente basiti è il rapimento mistico di un’assemblea di migliaia
di persone, teoricamente qualificate dal punto di vista pastorale, che nella
cattedrale romana si bevono estasiate un discorso blasfemo e sovversivo.
Tanto
per cominciare, il Messia non si è affatto preso la licenza di fare il burlone
dinanzi a una donna trascinata alla lapidazione. Come Dio, con il Suo dito, aveva scritto i Dieci Comandamenti
sulle tavole di pietra (cf. Es 31, 18), così Gesù si mise a scriverli per terra
per rivelare di esserne l’autore: Egli è il Verbo, fonte e garante della legge
divina. Il Figlio di Dio non ha certo violato né la legge né la morale, di cui
è principio e fondamento; ha invece perfezionato una legge ancora imperfetta,
data in forma provvisoria a causa della durezza
dei cuori (cf. Mt 19, 8). La legge morale da Lui portata a compimento è invece
completa e definitiva: non ha bisogno di integrazioni né di reinterpretazioni
di sorta; sostenere il contrario è eretico.
Chi,
in un’occasione, asserisce che il Signore avrebbe mancato alla Sua legge in una
disposizione caduca, in un’altra pretende di sfruttare un’altra disposizione
caduca di quella stessa legge per giustificare l’adulterio permanente delle seconde
nozze. Disonestà intellettuale, carenza cognitiva o schizofrenia latente? È
esattamente quell’uso della legge, contorto, interessato e strumentale, che il
medesimo comiziante rimprovera ai farisei, i quali, come insegna san Paolo (cf.
Fil 3, 19), avevano per Dio il loro ventre
(eufemismo indicante il prepuzio) e, di conseguenza, si vantavano della loro vergogna (altro eufemismo designante i
genitali). Era inevitabile che stravolgessero la legge divina, visto che non ne
riconoscevano più l’Autore; ma qui si va oltre, perché si offende direttamente
Dio e ce ne si getta allegramente alle spalle la Rivelazione.
Come
se gli spruzzi di veleno non fossero già stati letali, la dose più micidiale
era nascosta nella coda, proprio alla fine: la maggior parte dei matrimoni
sacramentali sarebbero nulli perché gli sposi non sarebbero consapevoli
dell’indissolubilità, in quanto un impegno definitivo per tutta la vita non sarebbe
nella loro cultura. Chissà che si
saranno inventati i missionari – gesuiti e non – che, per secoli, hanno
insegnato il matrimonio cristiano a popolazioni la cui cultura non lo
comprendeva… Non risulta che, per questo, abbiano ammesso divorzi e convivenze;
al contrario, hanno trasformato le culture pagane e diffuso la civiltà
cristiana, almeno fino a mezzo secolo fa. Ma quegli ingenui evangelizzatori non
avevano letto gli scrittori esistenzialisti e personalisti: non sapevano che la
verità oggettiva non ha valore di per sé stessa e non è sempre e ovunque vincolante,
ma solo nella misura in cui il soggetto, nella sua concreta, complessa
situazione esistenziale, la riconosce e le dà un significato personale. Le
stesse norme morali e gli impegni liberamente assunti in modo pubblico valgono
nella misura in cui l’individuo, soggettivamente, riesce a dare ad essi un
senso che gli sembri accettabile.
La
vita, così, è diventata un’interminabile ricerca di senso, un’interrogazione
pensosa della storia, un continuo confronto con una realtà spesso ostile,
indecifrabile, matrigna… Poteva forse andare diversamente, una volta spento il
lume della ragione e rifiutata ogni regola? L’imperativo è porre domande e
lasciarle rigorosamente in sospeso; chi si azzarda a tentare una risposta è ipso facto radiato dal consesso civile
come fanatico e intollerante fondamentalista. Sarà per questo che il nostro
campione di slalom gigante non dà mai
risposte precise, nemmeno alle domande più chiare, se non provocatorie? Quando
però vuole imporre assurdità pacchiane col tono di chi definisce un dogma, ritrova
di colpo una perentorietà apodittica che non lascia spazio ad obiezioni, come nella bordata conclusiva: le convivenze,
quando c’è la fedeltà, avrebbero la grazia del sacramento.
È
come voler le ciliegie senza il ciliegio o le uova senza la gallina; è
l’elementare principio logico-metafisico di causa ed effetto. Se non c’è il
sacramento, come posso averne la grazia? La res di un sacramento (la grazia soprannaturale
da esso comunicata) è inseparabile dal sacramentum
(il segno visibile ed efficace della grazia): ogni volta che il secondo è
realizzato in modo valido, la prima è infusa nell’anima che non vi pone ostacolo; senza l’uno,
viceversa, non può esserci nemmeno l’altra. Colui che ha ricevuto da Cristo il
compito di confermare nella fede i suoi
fratelli (cf. Lc 22, 32) non può cadere su queste conoscenze basilari; o
forse deve prima consultare qualche cardinale germanofono? Oltretutto, presenta
la grazia sacramentale non come dono divino (che richiede certo fede e
cooperazione), ma come frutto della fedeltà umana (che, per inciso, come
fedeltà al peccato mortale non è certo una virtù). Puzza tanto di quel
pelagianesimo che il Nostro rimprovera così spesso ai cultori della legge,
senza saper bene, evidentemente, di che si tratti.
Ma
– come avevamo già intuito – siamo ormai entrati (parola sua) nei tempi dello spirito. Questo cambia
tutto: logica, dottrina, competenza… nulla è più come prima; prodigiosamente,
lo “spirito” ha tutto trasformato perché si incontri con il suo opposto:
assurdo, eresia, ignoranza… Pur con tutto lo “spirito”, l’esistenzialismo e il
personalismo che volete, quando la misura è colma… è colma! Possibile che non
ci sia un vescovo o un cardinale che si alzi a dire: basta? Se ci rimette la
diocesi o la reputazione, sarà più libero di andare in giro a visitare i
cattolici fedeli che gemono come pecore senza pastore. Sono tante le fiammelle
che si sono accese per l’Italia con la consacrazione al Cuore immacolato di
Maria: non solo quelle di quanti erano presenti in San Pietro il 4 giugno e
sono poi ritornati nelle loro terre, ma anche quelle di tanti – non possiamo
contarli – che si sono uniti a noi dalle loro città alla stessa ora. Riusciremo
a trovare una guida? Chiediamola a Lei.