Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 26 marzo 2016


L’ora della Madre

 
Al termine dell’Ufficio delle Tenebre, l’ultima candela non viene spenta, ma nascosta agli occhi dei fedeli e poi ricollocata, in segno di speranza, in cima al grande candelabro a quindici braccia. Le altre candele sono state spente ad una ad una alla fine dei singoli salmi. La Luce del mondo, nella Sua morte e sepoltura, si è nascosta al mondo in attesa di sfolgorare il mattino del terzo giorno. In quel lasso di tempo che intercorre tra l’istante della Sua morte e quello della Sua risurrezione la fede della Chiesa nascente è parsa irrimediabilmente estinta. Eppure una fiammella ha continuato ad ardere nel Cuore più puro e credente che sia mai esistito e mai esisterà, in quello – immacolato – della Vergine Madre. Tutta la fede dei cristiani, in quelle ore, si è concentrata in Lei sola, l’unica che ancora una volta, come già all’Annunciazione, ha creduto oltre ogni umana credenza e sperato contro ogni speranza, come il Suo antenato Abramo (cf. Rm 4, 18). Come, grazie alla sua fede, egli divenne padre di molti popoli (Gen 17, 5), così Maria, grazie alla Sua fede, meritò di diventare Madre della Chiesa.

Parliamo della fede che opera mediante la carità (Gal 5, 6), non della contraffazione luterana di questa virtù teologale indispensabile alla salvezza. Abramo ebbe fede fino ad obbedire all’ordine divino che gli chiedeva, apparentemente, di immolare suo figlio; Maria ebbe fede fino ad offrire il Frutto del suo seno effettivamente immolato sulla croce. «Ella fu che, immune da ogni macchia, sia personale sia ereditata, e sempre strettissimamente unita col Figlio suo, Lo offerse all’eterno Padre sul Golgota, facendo olocausto di ogni diritto materno e del suo materno amore, come novella Eva, per tutti i figli di Adamo contaminati dalla sua miseranda prevaricazione. Per tal modo, Colei che quanto al corpo era la madre del nostro Capo, poté divenire, quanto allo spirito, madre di tutte le sue membra, con nuovo titolo di dolore e di gloria» (Venerabile Pio XII, Enciclica Mystici Corporis, alla fine). Ecco la vera fede: obbediente al di là di ogni umana ragionevolezza e feconda al di là di qualsiasi umana previsione.

In quest’ora così buia per la Chiesa e per l’umanità, questa stessa fede deve rimanere accesa nei nostri cuori come in quello di Colei che, congiunta a Gesù in un unico Sacrificio, ci ha rigenerati alla vita eterna. Non importa se siamo in pochi o in molti: la Madonna è stata interiormente del tutto sola durante la Sua incrollabile attesa davanti al sepolcro, sebbene avesse accanto il discepolo prediletto, che rappresentava, quale primizia dei Suoi figli, tutti noi che avremmo creduto. Stiamo con Lei in attesa di veder rotolata la pietra che, in questo momento, tiene prigioniero il Corpo di Cristo. È la pietra dell’incredulità pervenuta fino all’apice della Chiesa terrena, quell’incredulità per la quale non c’è più nulla che debba resistere alla mentalità nichilista di questo mondo corrotto e perverso, ma tutto deve essere adattato a ciò che l’uomo d’oggi ancora può credere – cioè nulla, da quando gli stessi Pastori e maestri gli hanno dichiarato che non c’è bisogno della fede cristiana per salvarsi, perché in realtà si salvano indistintamente tutti… Ma da che cosa? – vien da domandarsi.

Se non c’è l’Inferno, la Passione e la Croce non hanno più senso, oppure si trasformano in pretesto per parlare di migranti e di drogati. Se non c’è il Paradiso, la Risurrezione diventa perfettamente superflua. D’altronde, secondo un tizio di nome Kasper che chiamano cardinale, essa non sarebbe mai avvenuta, sarebbe solo un artificio letterario per esprimere la fede dei discepoli… Ma non abbiate paura: lo abbiamo già affermato e lo ribadiamo senza alcun timore di smentita: chi nega la fede cattolica è apostata; pertanto è fuori della comunione ecclesiale e non detiene legittimamente alcun ufficio nella Chiesa – in altre parole, è un signor nessuno. Più spinoso il problema diventa se il suo immediato superiore lo appoggia e pubblicizza in qualità di “teologo”; ma questo è affar suo, ne risponderà direttamente a Colui che dovrebbe rappresentare. Per quanto ci riguarda, la grazia ci ha resi ormai insensibili alla sua squallida commedia; l’unica questione ancora aperta è decidere, per quanto riguarda i sacerdoti, se accettare ancora incarichi pastorali nei quali saranno posti inevitabilmente davanti a gravi dilemmi di coscienza; per i fedeli, se continuare o meno a prender parte a liturgie in cui i sacrilegi diventeranno la norma.

È giunto il momento di formare dei focolai di resistenza: piccoli cenacoli, stretti intorno alla Madre, in cui si conservi la fede e si curi la vita di grazia sotto la guida di sacerdoti disposti a correre dei rischi. Abbiamo gloriosi esempi storici in Francia, Russia, Messico, Spagna… La differenza è che, ora, i persecutori sono ai posti di comando della Chiesa. Non importa: continuiamo a chiedere un intervento dal Cielo con la fede di Maria. Il tempo del sepolcro sta per terminare: presto il masso sarà ribaltato e potremo uscire allo scoperto come membra di Gesù risorto – veramente risorto nella Sua carne crocifissa, di cui ha mostrato le piaghe gloriose, quelle piaghe che non sono più causa di sofferenza e di morte, bensì segno irrefutabile della verità che salva. Colei che ha ricevuto nell’anima ogni singolo colpo inferto al Figlio ci aiuti a portare la croce con coraggio, dandoci la certezza che ogni nostra sofferenza, fisica o spirituale, porterà come la Sua frutti inimmaginabili di santità e di grazia per una Chiesa veramente rinnovata.
 

sabato 19 marzo 2016


Siamo in guerra (ma abbiamo già vinto)

 
Corrupti sunt, et abominabiles facti sunt in studiis suis (Sal 13, 1).

Giovedì prossimo, nella santa Messa in Coena Domini, per la prima volta nella bimillenaria storia della liturgia cristiana i sacerdoti potranno lavare i piedi anche alle donne. È evidente che si è completamente persa la percezione del senso originario del rito: il mandato apostolico. Fino alla cosiddetta riforma liturgica, peraltro, questo gesto veniva compiuto al di fuori del santo Sacrificio, come tutte le azioni che non hanno valore sacramentale, ma puramente didattico. Ancora una volta, si ripeterà ciò che è accaduto in tanti altri casi: un’iniziativa che costituiva un abuso diventerà la norma (come già la comunione sulla mano, che in molti luoghi, da meramente lecita, è divenuta praticamente obbligatoria). La novità, in quest’ultimo caso, sta nel fatto che l’abuso – benché meno grave – non è stato semplicemente concesso dalla suprema autorità della Chiesa con il paravento delle conferenze episcopali; al contrario, esso è stato dapprima praticato proprio da essa con grande pubblicità mediatica. Immaginatevi come si daranno da fare quei poveri parroci che, smaniosi di emergere, lo scorso 13 marzo hanno celebrato con enfasi il terzo anniversario della grande sciagura, giungendo perfino ad invitare i fedeli – come mi è stato riferito da un lettore – a scambiarsi il segno di pace immaginando di dare una carezza al caro papa Francesco…

Nel carcere minorile di Casal del Marmo, dove il Vescovo di Roma appena eletto si inginocchiò davanti a una musulmana per baciarle i piedi (quando non lo fa mai davanti a nostro Signore), ho svolto qualche anno fa un breve apostolato che mi ha fatto un gran bene, nonostante l’ostracismo dei volontari cattocomunisti e del locale cappellano, nostalgico del massone cardinal Casaroli, che a suo tempo aveva frequentato quel luogo. La stragrande maggioranza degli ospiti era costituita da zingari e immigrati slavi o maghrebini più o meno irregolari. I giovani delinquenti italiani vi transitano infatti soltanto per pochi giorni, per esser poi affidati alle cure di non meglio specificate “comunità educative”. Fu così che, una domenica, per poco non mi imbattei in due adolescenti romani che, tanto per divertirsi, avevano ammazzato un ciclista a calci e pugni. Correva l’anno 2008; quanto di recente accaduto a Roma, purtroppo, non è una novità, salvo per il clamore mediatico che quella volta, per i misteriosi meccanismi dell’informazione, non ci fu.

In comunità, quei due rampolli di “normalissime” famiglie nostrane saranno stati certamente assistiti da valenti psicologi che li avranno aiutati ad elaborare il loro disagio. In questo modo, però, si son persi un’occasione irripetibile per farsi lavare i piedi nientemeno che… dal Papa! Un’eventualità del genere – mi vien da pensare – avrebbe senz’altro cambiato per sempre la loro esistenza, così inaspettatamente raggiunta dal mistero della misericordia divina. Non mi risulta però che Alì Agca si sia fatto cattolico dopo la visita di Giovanni Paolo II; di lì a poco si diede piuttosto a inquietanti farneticazioni messianiche. Il fatto è che, per quanto ci si ostini oggi a negarlo, ci sono persone che scelgono lucidamente e deliberatamente… il male. Poiché la volontà umana è libera (e non può essere annullata da nessun disagio o povertà di sorta), prima di svelare ai rei il volto misericordioso di Dio occorre mostrare loro – come ha fatto Egli stesso nel rivelarsi – la Sua giustizia e il Suo giudizio; altrimenti nessuno prenderà mai sul serio la Sua misericordia.

Oggi la misericordia non è più nemmeno capita, per il semplice fatto che non se ne vede la necessità. Se addirittura chi dovrebbe fungere da supremo garante della verità asserisce che «ciascuno di noi ha una sua visione del bene e del male» e che «noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il bene», mentre qualsiasi giudizio morale costituirebbe un’intollerabile «ingerenza spirituale nella vita personale», tutto diventa lecito. Ci sono gruppi e individui che da decenni si battono per la legalizzazione della pedofilia, la quale – a detta loro – rappresenterebbe un bene per il bambino, in quanto lo aiuterebbe a liberarsi dalle deprecabili inibizioni con cui l’educazione soffocherebbe la sua naturale sensualità e voglia di vivere. In diversi Paesi europei questo genere di “rieducazione” pansessista è già obbligatoria e, se un padre cerca di sottrarle il figlio, finisce in galera come un criminale (e là non c’è nemmeno un papa che vada a lavargli i piedi come a Roma, al massimo ci sarà un arcivescovo Koch che gli farà la ramanzina a difesa dei sodomiti). Che cosa obiettare a codesti apostoli dell’infanzia, che possono ormai appellarsi al pensiero della più alta autorità morale al mondo? Sono talmente corrotti da esser diventati abominevoli nei loro intenti.

L’angelo «aprì il pozzo dell’Abisso e dal pozzo salì un fumo come il fumo di una grande fornace, che oscurò il sole e l’atmosfera» (Ap 9, 2). La lotta è umanamente impari, ma le nostre armi spirituali sono più potenti. Confesso che, in questo momento, l’unica cosa che mi dà forza è la santa Messa tradizionale, che non mi farò strappare da nessuno per nessuna ragione. Ogni mattina, come primo atto della giornata, scendo in cappella con lo stato d’animo di un generale di corpo d’armata che si accinge a sferrare battaglia con la certezza assoluta di riportare vittoria sul nemico. Al termine, a vittoria ottenuta, provo una sensazione di forza sovrumana che mi assicura che anche la guerra è vinta. Ma ogni fedele può trarre dalla Messa antica il medesimo vigore, fin da quando, con il sacerdote ai piedi dell’altare, recitando il Confiteor si presenta al cospetto della corte celeste per esserne giudicato, al fine di esservi ammesso come un intimo amico: «Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei Santi e familiari di Dio» (Ef 2, 19). Grande, sublime, temibile condizione del cristiano! Un sacro tremore tempera l’esultanza perché non degeneri in iattanza.

Celebriamo la Settimana Santa come la nostra vittoria sulle orde infernali, che si sono sparse su tutta la terra e che neanche il paolino katéchon trattiene più (cf. 2 Ts 2, 6-7). Sebbene il mysterium iniquitatis si sia scatenato come non mai, Dio già regna dal legno della Croce – e noi siamo partecipi della Sua regalità. Esercitiamola dunque sotto la guida di Colei che più di chiunque altri la possiede dopo Suo Figlio, Lei che è «bella e terribile come schiere a vessilli spiegati» (Ct 6, 4). Abbattiamo le fortezze del nemico con la corona del santo Rosario; ogni singola Ave Maria recitata con fede, risuonando nel Suo Cuore immacolato e doloroso come il grido di un figlio, che non può rimanere inascoltato, La muoverà a scacciare un demonio. Unendo la nostra passione a quella che, sul Calvario, ha fatto di Lei un tutt’uno con la Vittima uscita dal Suo grembo, Ella ci renderà imbattibili. Sia questo il mio augurio pasquale a tutti i fedeli della Parrocchia virtuale, che ogni mattina presento al Signore nel canone della santa Messa, nominando ad uno ad uno quelli che mi hanno affidato le loro intenzioni. Prende un po’ di tempo, ma è tempo ben speso nel cuore del Sacrificio della nostra redenzione, nel quale il trionfo della Chiesa è già un fatto compiuto.

San Giuseppe, sposo dolcissimo di Maria, padre putativo di Gesù, padre della divina Provvidenza e custode della santa Chiesa, a te ricorriamo per essere rivestiti delle tue virtù: della tua fede, della tua umiltà, della tua obbedienza, della tua pazienza, del tuo silenzio adorante e del tuo spirito di abbandono. Difendici da tutti gli assalti del maligno e provvedi alle nostre necessità spirituali e materiali, affinché possiamo cercare unicamente il Regno di Dio e servire al trionfo del Cuore immacolato di Maria, tua santissima Sposa. Amen.
 

sabato 12 marzo 2016


Libera nos, Domine!

 
Dal liberalismo, liberaci, o Signore! A lungo andare, è stato proprio il liberalismo, quale frutto della concezione giusnaturalistica e positivistica del diritto, a delegittimare dall’interno l’autorità dello Stato e ad asservirla alle forze della sovversione programmata; a ben vedere, è sempre il liberalismo, trasposto in ambito ecclesiale travestito da aggiornamento, che ha ucciso la fede e la vita di grazia in tantissime anime di battezzati. Secondo la studiata strategia massonica, alla ricerca della verità oggettiva si è sostituito il culto della dignità umana e la lotta per i diritti dell’uomo con un oblio forzato di quelli di Dio, Creatore del mondo e Redentore dell’umanità corrotta dal peccato originale e perciò stesso incapace di autogovernarsi senza la grazia (ammesso che ciò sia ammissibile in un senso di totale autodeterminazione, con un radicale rifiuto della Sua autorità e la conseguente rimozione della dottrina politica cattolica).

Quel Dio dell’universo che, nel novus ordo, si invoca all’Offertorio (ops! alla preparazione dei doni, come si dice ora che non si parla più di sacrificio), nonché nell’errata traduzione italiana del Sanctus, non è una designazione del Dio della Rivelazione cristiana. Nella stessa preghiera ebraica di benedizione del pasto cui si ispira la nuova formula, ci si rivolge al Re dell’universo (melekh ha‘olam), indicando così che tutto il creato è sottomesso alla Sua sovranità indefettibile. Invece l’altra locuzione – il cui senso non è affatto chiaro – proviene dalla cabala giudaica e designa non il Signore, ma colui che gli si oppone, il grande architetto adorato dai massoni. La casa comune di cui, secondo l’enciclica ecologica, dovremmo prenderci cura con l’aiuto del suo costruttore è presentata come fosse il fine ultimo dell’uomo, con un completo rovesciamento della traiettoria; la natura diventa un soggetto vivente cui il cristiano dovrebbe rendere servizio per ottemperare alla volontà del Creatore, relegato in un ruolo di remota origine in senso tipicamente illuministico.

Alla fine, l’ampia parabola dignitatis humanae (vi ricorda qualcosa?) si risolve contro l’uomo stesso, considerato un intruso, un problema, un fattore di turbamento dell’ecosistema – a meno che non ritorni a vivere nella giungla, riducendo l’economia al baratto e il diritto alla legge del più forte. Le rivendicazioni, abilmente pilotate, della libertà di coscienza, oscurando completamente la nozione stessa di obblighi della coscienza, sono sfociate nel naturalismo assoluto, nell’imposizione legale della sodomia e nel culto pubblico a san Satana. Parallelamente, la massoneria si è lanciata in una spericolata quanto indecente proposta di convergenza con la Chiesa Cattolica, che – a suo dire – avrebbe gli stessi scopi umanitari e filantropici: «Ed allora perché non darci la mano per rendere più intensa e benefica per l’Umanità la nostra opera di bontà e carità?» (lettera a Giovanni Paolo II di Virgilio Gaito, gran maestro del Grande Oriente d’Italia, 1° febbraio 1996).

Peccato che i loro intenti non siano affatto buoni e non abbiano niente a che fare con quelli della Chiesa… quanto alla carità, è impossibile esercitarla quando si è scomunicati. Quei signori, però, sono talmente ignoranti della dottrina cattolica da potersi allegramente concedere figuracce simili senza averne il minimo sospetto. Un altro loro capo, però, almeno in un caso ha perfettamente colto nel segno, nell’entusiastica dichiarazione resa alla stampa appena finito l’ultimo conclave: «Con papa Francesco nulla sarà più come prima. […] Il gesuita che è vicino agli ultimi della storia ha la grande occasione per mostrare al mondo il volto di una Chiesa che deve recuperare l’annuncio di una nuova umanità» (Gustavo Raffi, 14 marzo 2013). Il fatto è che la nuova umanità, come intesa da costui, è quella del gender e di una sessualità informe…

Alla massoneria sono altrettanto riconducibili il regime peronista e quello militare in Argentina, nonché la svolta progressista dei Gesuiti all’epoca di padre Arrupe. Intanto, un abilissimo superiore provinciale, riuscendo – con una maschera da conservatore – ad evitare illeso tutti gli scogli delle vicende storiche, ha fatto una carriera a dir poco strabiliante, nonostante la scarsa preparazione teologica e strani disturbi neurologici (dovuti a otto anni di agopuntura?). Ora, trasformata la Curia Romana in un distretto oltrecortina della Corea del Nord, egli governa con pugno di ferro, con l’ausilio di una ristrettissima rosa di fidati consiglieri, l’intero orbis catholicus, mentre tutti i suoi sudditi (o quasi) sono convinti che non ci sia mai stata tanta misericordia e tolleranza, apertura al mondo e dialogo con tutti, libertà, fraternità e uguaglianza… al contrario di una Chiesa che, fino al suo avvento, terrorizzava la gente.

Da questo genere di “libertà”, libera nos, Domine! Dall’ipocrisia diventata istituzione, libera nos, Domine! Dalla cancrena morale e spirituale provocata dalle false idee e accuratamente conservata dall’accanimento pastorale di chi si ostina a non ammettere il disastro, libera nos, Domine! Quella sposa adultera del Vangelo, irrimediabilmente condannata dal suo peccato, senza il sangue di Cristo non si sarebbe mai salvata dall’Inferno, pena incomparabilmente peggiore della lapidazione; se non ha ascoltato e messo in pratica la Sua parola, vi è comunque finita, nonostante il Suo perdono o – anzi – a maggior ragione, dopo aver ricevuto un’altra possibilità insperata e non averne approfittato: «Va’ e, d’ora in poi, non peccare più» (Gv 8, 11). È un aspetto, questo, oggi poco sottolineato… per non dire completamente omesso in quella presentazione deformata della misericordia che produce una parodia della Confessione, con tanto di insulti al prete cattivo che non vuole stare al gioco.

Se la Sposa infedele non si decide a ravvedersi, questa volta non saranno le pietre dei giudei a punirla, ma le scimitarre dei maomettani… sebbene i secondi non siano altro che esecutori materiali della volontà dei primi. Per questo invito tutti a pregare secondo le intenzioni contenute nella Preghiera composta per concludere il Rosario. Certo, pregare non basta; ma, almeno per ora, non possiamo far molto di più. Chi però ha fede in Colui che era prima che Abramo fosse (cf. Gv 8, 58) sa bene che la preghiera intensa, oltre a costituire titolo più che valido per esser preservati dal castigo, è un mezzo efficacissimo per preparare l’attuazione dei Suoi piani ed essere ammessi a cooperarvi. Abbiamo di fronte una scelta ineludibile; se nella vita interiore l’orientamento è netto, lo sarà pure nella vita concreta, nella parola e nell’azione.

Infine, non trascuriamo l’arma più potente: per quanto arduo sia, facciamo il possibile per assistere alla santa Messa tradizionale. Un motivo per cui la Provvidenza ha permesso lo stravolgimento della liturgia potrebbe essere proprio la previsione della sua riscoperta in questi tempi calamitosi quale imbattibile strumento di vittoria. Se non si fosse stati costretti a conservare il rito antico a prezzo di tante lotte e sacrifici, oggi non lo si celebrerebbe con tanta cura e devozione, mentre prima – da quanto è dato dedurre dalle testimonianze di tanti chierichetti di allora, ormai avanti negli anni – il comportamento cultuale dei sacerdoti non era sempre ineccepibile, scadendo a volte nella sciatteria, se non nella farsa. A posteriori quindi, paradossalmente, ringraziamo la Sapienza divina nonostante la catastrofe dell’ultimo mezzo secolo; in fin dei conti, basta tirarsene fuori.

Altrettanto paradossale, attualmente, appare un’intuizione che può farci comprendere la permissione divina del grande scisma d’Oriente: bisognava che una parte della Chiesa, nonostante alcuni errori dottrinali, fra enormi sofferenze rimanesse fondamentalmente sana per poter ricuperare alla fede quella non palesemente perseguitata, ma – ciò che è molto peggio – infettata dalla massoneria. Il Cuore immacolato di Maria vedeva lontano.
 

sabato 5 marzo 2016


Ita et nunc

 
Come allora colui che era nato secondo la carne perseguitava quello nato secondo lo spirito, così anche ora (Gal 4, 29).

Se i Protocolli dei Savi di Sion fossero stati un falso compilato dalla polizia zarista, non si capisce a che scopo Nicola II ne avesse portato con sé una copia a Ekaterinburg, dove fu trucidato con tutta la sua famiglia. Altro indizio di autenticità è il fatto che buona parte del piano in essi descritto si è già realizzato, a cominciare da quella rivoluzione marxista, finanziata e diretta dalle logge ebraiche, che in una prima fase lo detronizzò e in una seconda lo eliminò fisicamente. Non senza motivo un esperto di massoneria, qual era padre Kolbe, li aveva presi molto sul serio. I figli carnali di Abramo, non sopportando che i suoi figli spirituali li abbiano soppiantati nel godimento dei beni messianici, si sono votati ad una lotta senza quartiere contro di loro, fino all’ultimo cristiano. Non potendo certo sterminarli tutti (nonostante i ricorrenti massacri inaugurati nel 1792 e tuttora in corso per mano islamica), hanno pensato bene di pervertirne la fede al fine di condurli inavvertitamente alla loro stessa apostasia e riassorbirli così nella propria incredulità.

Subito dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù – come recita il testo greco, a differenza delle traduzioni edulcorate – si era ritirato sul monte per sottrarsi al rapimento da parte della folla, che aveva deciso di farlo re. Era la volontà umana di mettere Dio, se possibile, a servizio dei propri interessi terreni, rifiutandone in pari tempo l’amore con le connesse esigenze morali. Era la stessa blasfema arroganza dei loro padri che, nel deserto, avevano tentato il Signore: «Visto che ci ha dato da bere facendo sgorgare acqua dalla roccia, facciamoci dare anche da mangiare. Ma il pane non ci basta, vogliamo pure la carne» (cf. Sal 77, 20). Era lo stesso atteggiamento del figlio minore della parabola (cf. Lc 15, 11-32), che sfrutta la relazione filiale per rivendicare una fetta del patrimonio di famiglia, ma al tempo stesso la distrugge nella pretesa stessa di ottenere qualcosa che presuppone la morte del padre: «Io non ti voglio come genitore se non in quanto mi dài l’eredità, con cui potrò vivere come mi pare e piace, come se tu non ci fossi più».

«Se il mio popolo mi ascoltasse, se Israele camminasse per le mie vie! […] Li nutrirei con fiore di frumento, li sazierei con miele di roccia» (Sal 80, 14.17). Anche l’obbedienza del figlio maggiore, esteriore, interessata e astiosa, oltraggia l’amore paterno immolando la relazione filiale sull’ara di un interesse egoistico puramente materiale, così da perdere gli inimmaginabili benefici che la paternità divina tiene in serbo per i suoi piccoli: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo» (Lc 15, 31); esattamente le stesse parole che Gesù, esprimendo quella sublime reciprocità alla quale si è degnato di associarci, rivolge al Padre al termine dell’Ultima Cena: «Tutto ciò che è mio è tuo e tutto ciò che è tuo è mio» (Gv 17, 10). È ben più e incomparabilmente meglio di un capretto per far festa con gli amici, ma pure di tutti i piaceri acquistati con i soldi del padre e finiti in una pozza di fango in compagnia dei maiali; è ben più e incomparabilmente meglio di tutte le quaglie del deserto e di qualsiasi delizia gastronomica…

Il benessere della società occidentale, garantito peraltro da ingiustizie accecanti e da interminabili violenze senza nome, ha ridotto molti cristiani di nome in un vero e proprio porcile; quel progresso che proprio la fede in Cristo, mediante l’assunzione di quanto di buono la civiltà umana ha prodotto, ha reso possibile nel corso della nuova èra si è ritorto contro i suoi stessi beneficiari, una volta rifiutato il Padre da cui tutto proviene. Il sintomo più evidente di questa nefasta inversione di rotta è quella disgustosa perversione dei costumi che san Paolo stigmatizza come effetto del mancato riconoscimento di Dio da parte dei pagani (cf. Rm 1, 18-32). Ma la colpa di chi, una volta lavato, è tornato a rotolarsi nel fango è ben più grave: è come un cane che annusa il suo vomito (cf. 2 Pt 2, 22). «Se infatti, dopo aver fuggito le corruzioni del mondo per mezzo della conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, rimangono di nuovo in esse invischiati e vinti, la loro ultima condizione è divenuta peggiore della prima. Meglio sarebbe stato per loro non aver mai conosciuto la via della giustizia, piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltare le spalle al santo comandamento che era stato loro trasmesso» (2 Pt 2, 20-21).

Oggi nessuno dubita che il padre del figliol prodigo sia pronto a riabbracciarlo e a festeggiare nel modo più splendido il suo tanto atteso ritorno: ci viene ripetuto in tutte le salse e ad ogni occasione. Ma bisogna pure che questo benedetto figlio apra una buona volta gli occhi per vedere il fango in cui sguazza e si decida a tornare indietro! Finché non accetta di guardare in faccia la propria realtà e non prende la salutare decisione di allontanarsi dalla deplorevole condizione in cui si è posto da sé (cosa che lui solo può fare, sia pure aiutato dalla grazia), non cambierà mai nulla. Il Padre, certo, lo aspetterà sempre, ma non serve a niente dirgli che tutto va bene, quando di fatto non è così: in questo modo non si fa altro che cacciarlo sempre più nel fango confermandolo nei suoi errori e nei suoi peccati, esattamente secondo l’aberrante concezione luterana.

Come ci insegnano i protagonisti stessi della storia sacra nella sua prima fase, quando il popolo indurisce la cervice, rifiutandosi di ascoltare il Signore che ripetutamente lo richiama e ammonisce, alla misericordia divina non resta altro mezzo che il castigo. Molti arricciano il naso a sentir parlare di un presidente che da tre lustri, nel Paese più esteso del mondo, tiene saldamente le redini del potere con metodi poco democratici (se non moralmente discutibili) che includono – dicono – l’eliminazione fisica degli oppositori. Non intendiamo certo onorare Machiavelli, ma è sempre la storia sacra (tanto l’antica quanto la nuova) ad insegnarci che il buon Dio è molto meno schifiltoso dei suoi figli e, per certe operazioni, non pretende affatto di trovare strumenti perfetti: per correggere Israele si servì di un Sargon II e di un Nabucodonosor, per impiantare la Chiesa di un Costantino e di un Carlo Magno – senza curarsi di non scandalizzare i benpensanti modernisti…

Certamente il nostro eroe ha bisogno di una più perfetta conversione: la sua Chiesa, pur con tutto lo splendore delle sue tradizioni, non gli trasmette la totalità della verità rivelata né gli garantisce una piena comunione con il Corpo mistico. Ci vorrebbe un gesuita come quelli di una volta, che erano andati in Russia a convertirne la nobiltà per arrivare fino allo zar… magari anche un missionario di un altro ordine, visti i tempi che corrono. Ad ogni modo, una tale conversione tornerebbe utile a tutti: agli Ortodossi russi, che, con la libertà ritrovata, nelle loro smaglianti liturgie rischiano di scivolare in un insidioso culto dell’uomo; ai greco-cattolici ucraini della Crimea e del Donbass, che, dopo neanche trent’anni di tregua, si ritrovano di nuovo a subire la persecuzione; a noi occidentali, che, in questi settant’anni, abbiamo completamente dimenticato che cosa significhi (nell’eventualità di un’altra guerra mondiale, seppure momentaneamente scongiurata) un’occupazione straniera. Perciò, se vogliamo che la punizione del nostro Paese infedele non sia troppo severa e che esso sia liberato al più presto dai diktat legislativi programmati dalla massoneria giudaica, non c’è necessità più urgente di questa: pregare, pregare e ancora pregare.