Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 26 settembre 2015


Tempo di agire
 
 
Tempus faciendi, Domine: dissipaverunt legem tuam (Sal 118, 126).

L’ostinazione nella disobbedienza alla legge di Dio provoca un insensibile accecamento della mente e un correlativo indurimento del cuore: si comincia col trovare “buoni motivi” per sospenderne l’applicazione in circostanze particolari; poi, con il moltiplicarsi di tali circostanze (spesso dovuto proprio alla sospensione della legge) il rispetto di essa appare sempre più come un’imposizione contraria al bene delle persone, finché le legge stessa, in modo più o meno aperto, finisce con l’essere rigettata in nome della misericordia. Si dimentica così che Dio ha dato i Suoi comandamenti per amore dell’uomo e per la sua salvezza, onde guarirlo dalle conseguenze della prima prevaricazione e ricondurlo sulla via del bene. È fuor di dubbio che l’uomo abbia bisogno della grazia per poter adempiere la legge divina; ma non possiamo certo dire che il Salvatore non la riversi di continuo e in sovrabbondanza su chiunque vi ricorra con le dovute disposizioni e non vi ponga ostacolo.

Questo discorso così semplice, purtroppo, suona oggi terribilmente complicato alle orecchie della maggior parte dei fedeli e, malauguratamente, anche a quelle di molti sacri ministri. Per troppi anni, del resto, si è pervicacemente proceduto sulla via della trasgressione, così da trasformarla in regola. Legge, grazia, obbedienza, peccato… sono ormai termini di una lingua sconosciuta che, qualora ricorrano nei testi biblici o liturgici – pur tradotti in vernacolo – vengono sfrontatamente espunti o modificati per non offendere le delicate orecchie di chi ancora, eventualmente, facesse caso a ciò che si legge nella Liturgia. È un caso esemplare di sordità volontaria: come recita il proverbio, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Tale sordità dell’anima è un fenomeno che tanto più si acuisce quanto più si tenti di porvi rimedio: finché il soggetto non modifica la volontà ribelle, infatti, continua a rinforzare le proprie difese intellettuali – per quanto difettose – allo scopo di respingere gli argomenti di chi prova con carità a mostrargli il problema.

«Rendi insensibile il cuore di questo popolo, fallo duro d’orecchi e acceca i suoi occhi, sicché non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il cuore, né si converta in modo da essere guarito» (Is 6, 10). Paradossale missione del profeta! Più egli parla, più il male si aggrava, poiché, per non dover ammettere che la sua parola è vera, il popolo si indurisce sempre più nella propria chiusura alla verità – e questo è già un terribile castigo che si infligge da sé. Poi, però, anche il castigo della divina giustizia si abbatterà su di esso, perché avrà volutamente trascurato il tempo favorevole che la divina misericordia gli aveva concesso: «Le città devastate rimarranno senza abitanti, le case senza uomini e la campagna deserta e desolata. Ne rimarrà una piccola parte, come una quercia alla cui caduta ne resta il ceppo» (cf. ibid., vv. 11.13). Saranno scusati dal fatto che la loro sorte sarà stata favorita da un falso profeta che giustifica la loro ostinata disobbedienza? No, perché Dio invia l’empio con la sua diabolica potenza d’inganno appunto a quanti rifiutano la verità e acconsentono all’iniquità (cf. 2 Ts 2, 8-12); come dire: se ci cascano è per colpa loro.

Ma quel ceppo superstite, ovvero quel piccolo resto, sarà finalmente progenie santa. Bisogna quindi far tutto il possibile per trovarsi inseriti in esso. Chi ha aperto gli occhi sull’empio inganno è già, per grazia di Dio, sulla buona strada; ma molti stentano ancora a riconoscerlo proprio a causa della loro fede semplice e retta, la quale non riesce ad ammettere che nella sede suprema sia insediato un iniquo. Le mie viscere si straziano al pensiero di queste persone buone che soggiacciono alla frode, di questi piccoli che non vorrei mai scandalizzare, onde non essere gettato in mare con una macina al collo… Non parlo di quanti utilizzano notevoli qualità intellettuali e competenze culturali facendo salti mortali per “normalizzare” la situazione con tentativi disperati di spiegare ciò che non è giustificabile; parlo di tanti parenti, amici e conoscenti innamorati di un personaggio che sa corrispondere alla perfezione ai desideri profondi di ciascuno.

«Narraverunt mihi iniqui fabulationes: sed non ut lex tua» (Sal 118, 85). La soluzione del dilemma, come sempre, si trova nella Parola sacra: gli iniqui possono pure raccontare tutte le chiacchiere che vogliono, ma i loro discorsi, nella misura in cui sono contrari alla legge di Dio, vanno rigettati senza il minimo tentennamento. Ecco dunque come aiutare le persone rette, ma ingenue, a prendere coscienza dell’inganno: confrontando semplicemente le uscite del grande leader e dei suoi degni cortigiani con quanto afferma la Sacra Scrittura; la discontinuità – se non l’opposizione – salterà immediatamente agli occhi. Non c’è bisogno, a questo scopo, di aver studiato teologia; anzi, quanti lo hanno fatto sono i più refrattari alla cura, giacché la loro mente è deformata da una sottile quanto invasiva tecnica di mistificazione della verità. I semplici, invece, sanno benissimo che la Parola divina non ha alcun bisogno di essere “aggiornata” in base alla mutata situazione sociale così da esser “liberata” dai condizionamenti culturali del passato, dato che contiene una verità immutabile, capace di salvare uomini di ogni civiltà e di ogni epoca.

È tempo di agire, Signore, perché hanno violato la tua legge. Devi agire tu stesso, Padre santo, dando i primi salutari avvertimenti circa i terribili castighi che incombono sull’umanità peccatrice – visto che quelli in corso non valgono a scuotere le coscienze. Deve agire la nostra Madre e Regina immacolata inviando i Suoi eletti messaggeri, quelli che san Luigi Maria Grignion de Montfort preconizzò come apostoli degli ultimi tempi. Devono agire i Tuoi figli fedeli, raccogliendosi come un piccolo esercito di valorosi che Ti riportino le anime vacillanti e sbaraglino l’errore con la loro preghiera e testimonianza. Poco importa che siano poco numerosi: «Non c’è differenza per il Cielo tra il salvare per mezzo di molti e il salvare per mezzo di pochi, perché la vittoria in guerra non dipende dalla moltitudine delle forze, ma è dal Cielo che viene l’aiuto» (1 Mac 3, 18-19). Tempus faciendi, Domine. Tempus faciendi, fratres.
 

sabato 19 settembre 2015


La vigna e il cinghiale

 
Perché hai abbattuto la sua cinta […]? La devasta il cinghiale del bosco (Sal 80 [79], 13-14).

Quando papa Leone X, nel 1520, applicò la metafora salmica al rivoluzionario di Wittenberg, la cinta della vigna diletta era ancora saldamente in piedi. Certo, buona parte del Popolo di Dio – clero, religiosi e laici – aveva bisogno di un’urgente riforma, che alcuni illuminati vescovi e fondatori avevano già avviato; ma la devastazione provocata dal cinghiale fu allora efficacemente arginata da un Concilio ecumenico e dalle eroiche imprese apostoliche di nuovi ordini religiosi, come i Gesuiti e i Cappuccini, che riconquistarono alla Chiesa Cattolica ampie regioni d’Europa. D’altronde il ribelle, che morirà suicida dopo l’ennesima crapula, aveva avuto successo unicamente per ragioni politiche, grazie all’appoggio di principi altrettanto ribelli all’autorità costituita dell’Imperatore romano-germanico. L’Europa si spaccò in due e fu sconvolta da quasi un secolo e mezzo di guerre spaventose; ma la Chiesa Cattolica rimase cattolica.

Il diavolo, non soddisfatto di questa vittoria dimezzata, continuò il suo lavorio demolitore cercando di infiltrarsi nella vigna stessa. Visto che rivoluzioni francesi, liberali e comuniste non erano riuscite ad abbatterne la cinta, bisognava che qualcuno lo facesse dall’interno. Le ideologie dell’Ottocento erano state bollate dal beato Pio IX, l’eresia modernista condannata da san Pio X, i germogli del neo-modernismo recisi dal venerabile Pio XII… Ci voleva qualcuno che – scientemente o meno – aprisse la porta al nemico e lo facesse salire in cattedra, magari sotto le spoglie di periti invitati ad un nuovo Concilio, i quali ne prendessero surrettiziamente il controllo e riuscissero ad ipnotizzare più di duemila vescovi perché firmassero i documenti da loro elaborati. Leone XIII aveva ben visto, in visione, nugoli di demòni scendere in picchiata sulla basilica di San Pietro; la grande euforia di cinquant’anni fa non poteva quindi presagire nulla di buono.

Così fu abbattuta la cinta, e subito svariati animali selvatici cominciarono a scorrazzare indisturbati, calpestando la vigna e riempiendola dei loro escrementi. Lucifero sguinzagliò i suoi agenti più arditi nel cuore stesso del santuario, dove un papa tentennante e angosciato era drogato dai suoi più stretti collaboratori e sostituito da un sosia in molte apparizioni pubbliche. Il successore, avendo subito voluto veder chiaro nell’infiltrazione massonica della Sede Apostolica, fu stroncato col veleno dopo appena trentatré giorni di regno. Poi un gigante slavo e un angelo transalpino tentarono di salvare il salvabile – o forse anche ciò che non era salvabile – aprendo così un varco al ripristino della vera Chiesa. Ma non era ancora arrivato… il cinghiale. Non più il prete forzato e nevrotico di cinquecento anni orsono, ma qualcuno che riuscisse ad occupare la sede più alta, così da poter ridurre ogni cosa in poltiglia con qualche zampata ben assestata.

Un colpo da maestro… A questo punto, nulla resiste più alla serie di fendenti inferti a destra e a manca con una furia apparentemente insensata, ma in realtà calcolata con diabolica freddezza. Ad ogni sobbalzo dell’animale, oltre le devastanti conseguenze a medio e lungo termine, si verifica uno scatenamento di demòni, specie di quello dell’impurità. Ciò contro cui si accanisce di preferenza, non a caso, è l’unione santa dell’uomo e della donna come fondamento della famiglia: approvazione dell’omosessualità, ammissione della separazione e del divorzio, incondizionata indulgenza per l’aborto… e ora addirittura l’abolizione di fatto del matrimonio indissolubile. Ormai anche agli atei conviene sposarsi in chiesa, visto che questo è ammesso e che lo scioglimento è più facile del divorzio civile, è più veloce e – soprattutto – non costa nulla. I produttori di telenovelas sono già pronti a sfruttare il nuovo filone narrativo; anche i buoni cattolici potranno ormai identificarsi con i loro personaggi.

Ma tutto questo era stato previsto e annunciato dal Cielo. Nel lontano 1610 la Madonna così istruiva Mariana de Jesús, giovane religiosa di Quito: «Ora ti faccio sapere che dalla fine del secolo XIX e da poco dopo la metà del secolo XX, in quella che oggi è la Colonia e che un giorno sarà la Repubblica dell’Ecuador [attualizzando: in ogni parte del mondo], esploderanno le passioni e vi sarà una totale corruzione dei costumi, perché Satana regnerà quasi completamente per mezzo delle sètte massoniche [che allora non esistevano ancora]. Essi si concentreranno principalmente sui bambini per mantenere questa corruzione generale. Guai ai bambini di quei tempi! Il sacramento del Matrimonio, che simboleggia l’unione di Cristo con la sua Chiesa, sarà attaccato e profondamente profanato. La Massoneria, che sarà allora al potere, approverà leggi inique con lo scopo di liberarsi di questo sacramento, rendendo facile per ciascuno vivere nel peccato e incoraggiando la procreazione di figli illegittimi, nati senza la benedizione della Chiesa».

La Vergine proseguiva profetizzando la deviazione e corruzione del clero, quasi a voler indicare la causa della decadenza collettiva nel venir meno del baluardo opposto da Dio all’opera devastatrice portata avanti dai servitori del demonio. Nel 1634 Gesù stesso le mostrò come l’orrendo e pestifero cinghiale della Massoneria entrava nella meravigliosa e fiorente vigna della Chiesa, lasciandola annientata e in completa rovina: «Lo spirito di impurità, che saturerà l’atmosfera in quei tempi, come un oceano ripugnante inonderà le strade, le piazze e i luoghi pubblici con un’incredibile libertà. Attraverso l’acquisizione del controllo su tutte le classi sociali, la setta massonica sarà così astuta da penetrare nel cuore delle famiglie per corrompere persino i bambini e il diavolo si glorierà di nutrirsi con perfidia della squisita delicatezza del cuore dei bambini». Anche il Signore additava poi la degradazione di sacerdoti e religiosi e i terribili castighi che ne sarebbero seguiti; ma di questo ci occuperemo, a Dio piacendo, in un prossimo articolo.

Che dire? Fiat voluntas tua…! Se tutto questo è necessario, Padre santo, per la rinascita della Chiesa dai Tuoi figli fedeli, che non possono più sopportare quest’ignobile farsa e sono pronti, a un Tuo minimo cenno, a dissociarsene pubblicamente, da’ loro la forza di resistere mantenendosi fedeli alla Tua Parola. Tu stai passandoli al vaglio per separarli dai traditori, da quel Giuda che hai misteriosamente ammesso fra gli apostoli di Tuo Figlio con un compito necessario al trionfo del Tuo Regno. Ti prego, custodiscili dal maligno – non perché potrebbe ancora ingannarli, ma perché non si scoraggino e non cedano all’amarezza, alla ribellione, all’arroganza… Non permettere che siano tentati di superbia, ma conservali semplici e miti, puri di cuore e di costumi, invincibili agnelli in mezzo a lupi feroci che tuttavia nulla possono contro i Tuoi piccoli, purché questi si mantengano stretti sotto il manto della Tua Sposa immacolata, loro Madre e Maestra infallibile, perfezione vivente della Tua santa Chiesa.
 

sabato 12 settembre 2015


Di sovietica memoria (o attualità?)
 
 
Prima o poi doveva succedere – ed è successo. No, l’autore di questo irriverente sito di invettive (come è stato qualificato da un giornalista dell’autorevole quotidiano Avvenire) non è stato ancora scoperto; si è solo fatto cacciare dalla diocesi che lo aveva accolto per motivi apparentemente ben più banali. I crimini irremissibili di cui si è macchiato sono legati alla sua fede nei Sacramenti: dare l’Eucaristia soltanto sulla lingua, dichiararsi pronto a negarla a chi fosse in stato di peccato mortale manifesto nonché – e qui Caifa si strappi le vesti – dir Messa in privato (si badi bene: in privato) secondo il rito di san Pio V! Ebbene sì: celebrare il Sacrificio redentore nella forma straordinaria è per certi Vescovi, a quanto pare, l’atto più nefando ed esecrabile che un sacerdote possa commettere. In confronto, l’immoralità diffusa in ampi strati del clero è una bazzecola: basta andare avanti come se non ci fosse – purché non ci si mettan di mezzo i Carabinieri o i giornalisti…
 
Si direbbe che il motu proprio di papa Benedetto XVI – sempre che non sia una leggenda inventata dai tradizionalisti – non fosse altro che un lontanissimo ricordo, un imbarazzante incidente legato a un passato ormai irraggiungibile, un’imprevedibile anomalia nell’inarrestabile processo, avviato dal Vaticano II, delle magnifiche sorti e progressive… Il medesimo Vescovo di cui sopra, redarguendo un suo sacerdote in procinto di passare alla Fraternità San Pio X, ha bloccato qualsiasi obiezione possibile sentenziando che «il problema della Tradizione, certo, c’è stato fino a qualche anno fa, ma oggi non sussiste più». Tanta spudoratezza è appena velata dall’ipocrita sottinteso che, regnante il Papa precedente, i presuli modernisti han dovuto mordere il freno con stizzosa impazienza, mentre con quello attuale han potuto abbandonare ogni remora.
 
Il fatto è che il Summorum Pontificum è sempre in vigore e che bisognerebbe abrogarlo per renderlo inefficace (cosa assolutamente improbabile da parte di qualcuno che vuol piacere a tutti…). Allora si procede ignorandolo ed evitando di rispondere in proposito – come del resto si fa da decenni con tutte le leggi ecclesiastiche a cui non si vuole obbedire. Poi però si pretende obbedienza assoluta e incondizionata ad una norma inesistente, secondo la quale i fedeli avrebbero il diritto inalienabile di ricevere la Comunione sulla mano. Basta una rapida ricerca per rendersi conto che non esiste alcun documento che fondi tale presunto diritto; ci sono soltanto dei rescritti con i quali il dicastero competente della Curia Romana ha concesso come un’eccezione, alle conferenze episcopali che ne hanno fatto richiesta, la possibilità di distribuire la santissima Eucaristia deponendola sulle mani dei fedeli. Peraltro nessuno degli ultimi Papi canonicamente eletti ha mai approvato questa prassi; anzi, l’hanno costantemente e manifestamente scoraggiata.
 
Se è ancora lecito ragionare, una concessione non stabilisce alcun diritto, né tanto meno costituisce un obbligo per il sacerdote che – ut aiunt – presiede l’assemblea. Secondo il vocabolario Treccani della lingua italiana, presiedere significa «essere a capo in qualità di presidente o di preside, e più genericamente esercitare funzioni direttive, sovraintendere». Tralasciamo il fatto che il sacerdote, quando celebra la Messa, non si limita a dirigere un gruppo di convenuti, ma ripresenta il Sacrificio della Nuova Alleanza in persona Christi. In ogni caso, per un minimo di coerenza, gli accaniti difensori del Novus Ordo dovrebbero almeno rispettare il loro proprio linguaggio: se è vero che il sacerdote presiede la Messa, non può farsi dettar legge dal primo venuto, ma sarà libero di scegliere tra le possibilità che gli sono consentite.
 
Ma la logica e il diritto non sono più di casa nelle parrocchie e nelle curie diocesane: valgono unicamente l’arbitrio, l’abuso, l’imposizione e la pretesa. Così, con la logica e il diritto, se n’è andata anche la fede. Chi si accosta all’Eucaristia dovrebbe pensare non alla maniera pratica in cui gli è porta, ma ben più a ciò che riceve, cioè a Chi si dona a lui gratuitamente in corpo, sangue, anima e divinità; per questo ha l’obbligo di esaminarsi se è in stato di grazia (per poterlo ricevere degnamente piuttosto che a propria condanna) e se possiede le disposizioni interiori necessarie per poterlo ricevere con frutto. Se, al momento della santa Comunione, il non essere accontentato dal sacerdote in un dettaglio del tutto secondario fa sentire un fedele respinto e giudicato, ciò è segno che la sua mente è ormai annebbiata da quel soggettivismo morboso che tiene le persone ripiegate su sé stesse e sulle proprie fisime, impedendo loro di lasciarsi afferrare dall’esultante e riverente stupore che prova chi, al contrario, è concentrato sulla realtà oggettiva del dono immenso che gli viene offerto senza merito alcuno.
 
Non parliamo poi della caduta – inevitabile con la nuova prassi – di frammenti che finiscono sotto i piedi dei fedeli o del rischio, tutt’altro che trascurabile, di trafugamento delle sacre specie a scopo di profanazione. Più ancora, l’abitudine di distribuire l’Eucaristia come una caramella o un biscottino ha provocato una crisi generalizzata della fede nella Presenza reale. Se la Comunione, allora, è un mero segno di appartenenza, posto al termine di una semplice rievocazione protestante dell’Ultima Cena, perché non ammettervi indistintamente chiunque capiti? Alla fine hanno ragione i vescovi tedeschi – tolto il fatto che non sono più cattolici… A forza di andare con lo zoppo luterano, hanno imparato a zoppicare e, quel che è peggio, sono finiti completamente fuori strada trascinando dietro di sé il loro gregge – almeno quello che ancora paga l’esosa Kirchensteuer per finanziare le diocesi più ricche del mondo. Noi non vogliamo finire come loro: vogliamo la fede, la grazia, la santità… e – se lo avremo meritato – il Paradiso.
 
Ma di tutto questo, ai nostri Vescovi, sembra che non importi nulla. Per tale motivo lo scrivente, accogliendo dalle mani della Provvidenza la disposizione gerarchica, ha offerto il giorno stesso una santa Messa di ringraziamento in rito antico. Con tanti altri sacerdoti e fedeli, non si riconosce più nell’assetto odierno della Chiesa terrena, che sotto molti aspetti non milita più per Cristo, ma per qualcun altro. Per quanto indegno – ciò che il Messale di san Pio V gli ricorda continuamente – egli è convinto di aver ricevuto il dono inestimabile e la temibile missione del sacerdozio per portare le anime in cielo, non per aiutarle a dannarsi. Per questo, proseguendo gioiosamente sulla via di sempre (l’unica che conduca lui e gli altri alla vita eterna), si sente finalmente liberato da un sistema perverso nel quale, tra “formazione” e “ministero”, ha boccheggiato per trent’anni cercando di sopravvivere allo scempio. Nei primi tempi si chiedeva perplesso come mai gli attuali metodi della gerarchia cattolica assomigliassero tanto a quelli propri del regime sovietico. Ora l’ha capito: i Pastori formatisi negli anni ’70 hanno le stesse idee e gli stessi obiettivi; lo dichiarano essi stessi.
 
Concludendo, vi propongo di unirvi alla mia gioia (temperata dal dolore, di un’intensità mai provata prima, per le lacrime dei buoni parrocchiani che patiscono il distacco), chiedendovi in pari tempo preghiere perché il Signore mi mostri come vuole servirsi di me d’ora innanzi. Una cosa è certa: potrò dedicare più tempo alla parrocchia virtuale, i cui fedeli, grazie agli incontri avvenuti nel corso dell’estate, stanno diventando reali. Con un po’ d’aiuto materiale, sono pronto a muovermi in Italia e nel mondo: potremo rinfrancarci a vicenda in vista della dura battaglia che ci attende. Ma niente paura: il nostro Signore ha già vinto il mondo; il santissimo nome della Madre nostra ha già sbaragliato più volte i nemici della vera fede e della santa Chiesa.
 
P.S.: a proposito delle questioni liturgiche cui sopra si accenna, date un’occhiata ai piani della massoneria pubblicati qui accanto nei Documenti; verificate le coincidenze e traetene le vostre conclusioni.
 

sabato 5 settembre 2015


Nel peccato mi ha concepito mia madre
 
 
Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre (Sal 51 [50], 7).

Non è fra i passi biblici più citati nella teologia contemporanea e nella nuova pastorale del “nessuno escluso”. Non perché affermi che ogni madre avrebbe commesso peccato nel concepire (ciò che il testo non vuol certamente dire, anche se in molti casi, purtroppo, risulta vero di fatto), ma perché esprime inequivocabilmente l’effetto più grave del peccato originale: ogni essere umano viene al mondo in stato di separazione da Dio, indipendentemente dalla qualità morale dei suoi genitori e da ciò che farà in seguito. È forse questa una situazione senza via d’uscita? Ovviamente no, come tutti sappiamo: con la predicazione del Vangelo effettuata dalla Chiesa, la fede da essa suscitata e i Sacramenti dell’iniziazione cristiana, ogni uomo può rinascere da acqua e da Spirito (cf. Gv 3, 5) per diventare nuova creatura.

Il catechismo ci informa altresì – ma è pure esperienza comune – che il Battesimo, pur riconciliando l’uomo con Dio e conferendogli la vita soprannaturale, non risana immediatamente i danni inferti alla natura umana dal peccato originale, come l’oscuramento dell’intelletto, l’indebolimento della volontà e l’inclinazione al male; per questo è indispensabile essere istruiti nella verità rivelata ed esercitarsi nella pratica delle virtù: «Nell’intimo mi insegni la sapienza», prosegue il salmo al versetto successivo. La nuova legge tuttavia, per essere scritta nei cuori dallo Spirito Santo, richiede nel credente una fondamentale disposizione interiore: «Tu vuoi la sincerità del cuore» (Sal 51 [50], 8). Chi non vuol riconoscere in sé il bisogno di essere guarito e corretto dall’immutabile Parola di verità non può progredire nella vita cristiana, rende anzi vana la grazia che ha ricevuto e dovrà rispondere a Dio, nel giudizio particolare, di questa scelta gravissima.

Per quanto possa apparire paradossale, oggi molti fedeli sono in parte scusati dal fatto che i loro Pastori, anziché trasmettere fedelmente ad essi il genuino insegnamento che salva, li illudono e fuorviano con una presentazione della dottrina parziale e lacunosa. Una verità costantemente presentata in modo incompleto finisce inevitabilmente con l’indurre in errore; una disciplina che non preveda alcuna correzione rimane del tutto inefficace. Una diagnosi corretta, viceversa, è presupposto di ogni guarigione; una terapia adeguata ne è l’avvio. Ad un arto slogato si applica un tutore; una ferita va disinfettata e fasciata. La riabilitazione conseguente a una frattura è necessaria, per quanto dolorosa, a meno che uno non preferisca rimanere storpio.

Tra pochi mesi inizierà un anno santo. Già si è annunciato l’invio di missionari della misericordia che avranno facoltà di assolvere da qualsiasi censura (quindi, in teoria, anche dalle scomuniche connesse all’aggressione del Sommo Pontefice e all’ordinazione di vescovi senza suo mandato…). Ora, in un testo peraltro privo di tenore e valenza giuridici, si concede ad ogni sacerdote (anche a quelli dimessi dallo stato clericale?) la facoltà di assolvere dall’aborto, delitto che, comportando la scomunica per tutte le persone coinvolte, compreso chi lo consiglia o coopera in qualsiasi modo, era finora riservato al vescovo. Non una sola parola è spesa per ricordarne la gravità e sollecitare le disposizioni interiori e gli atti esteriori che assicurano un pentimento sincero, senza il quale non c’è remissione dei peccati e l’assoluzione è invalida. Se, giusto per fare un esempio, due ragazzi non sposati confessano un aborto, ma persistono abitualmente in rapporti sessuali e non hanno alcuna intenzione di smettere, mancano le condizioni di un vero pentimento. Quanti sacerdoti lo sanno e ne terranno conto?

Ma questo è legalismo farisaico! – sbotteranno alcuni. La misericordia tutto scusa, tutto copre, tutto dimentica… Certo, ma la vera misericordia non si ferma lì, in quanto mira alla reale conversione del peccatore, così come un buon medico persegue la reale guarigione dell’ammalato e non si limita a propinargli un po’ d’acqua zuccherata perché si senta psicologicamente sollevato. Quando non c’è altro da fare, l’effetto placebo può anche essere d’aiuto a livello psico-fisico; a livello morale e spirituale, invece, ci vuole necessariamente qualcosa di più consistente: la grazia non è soltanto una parola, almeno per quei cattolici che conoscono la sana dottrina e non sono caduti nell’errore protestante, tipico esempio di nominalismo tardo-medievale.

Dopo che il divorzio e la separazione sono stati sdoganati come scelte in certi casi – di conseguenza in tutti – moralmente obbligatorie, ora è il turno di quella che chiamano interruzione volontaria di gravidanza (quasi che il portarla a termine fosse facoltativo…). Estendere a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere da questo delitto – per poi sospenderla di nuovo l’ultimo giorno dell’anno santo? – equivale di fatto ad abrogare la relativa scomunica e a banalizzare questo crimine orrendo. Come per qualsiasi altro peccato, le circostanze in cui è commesso possono parzialmente attenuare la responsabilità del soggetto, ma ciò non toglie che, sul piano oggettivo, si tratti di una delle colpe più gravi in assoluto e che occorra quindi imperativamente fare tutto il possibile per dissuadere i fedeli dal commetterla.

Anche qualora una persona ne sia sinceramente pentita e riceva validamente l’assoluzione, pur se liberata dalla dannazione eterna deve comunque espiare la propria colpa, in questa vita o nell’altra; la carità di Cristo ci spinge quindi a tentare tutte le vie per trattenerla – per non parlare del bambino che potrebbe non veder mai la luce. Se, oltre il peccato originale, quest’ultimo è stato effettivamente concepito con un atto peccaminoso perché posto per pura libidine oppure in assenza del vincolo matrimoniale, non ne ha colpa alcuna; per qual motivo condannarlo a morte? Bisognerebbe porre la domanda a quei “cattolici” che si battono indefessamente per l’abolizione della pena capitale o per la salvaguardia del creato, ma non spendono mezza parola per i bimbi non nati, pur essendo membri o dirigenti di potentissime associazioni, molto influenti nei salotti che contano… Forse ritengono che le battaglie pro-life siano roba da tradizionalisti beceri e retrogradi.

Fa molto riflettere, a questo proposito, l’affermazione di un sedicente teologo francese intervistato dalla Radio Vaticana: la Chiesa dovrebbe impegnarsi non solo per la salvezza dell’umanità, ma anche per la salvezza del mondo. A parte il fatto che, nel linguaggio evangelico, le due locuzioni sono perfettamente equivalenti, vien da chiedersi da che cosa dovrebbe essere salvato il mondo, inteso come universo visibile: per quanto l’uomo – questo intruso ingrato e pericoloso – possa danneggiarlo, esso è pur sempre governato dalla Provvidenza divina, che lo conduce infallibilmente verso il suo fine con la cooperazione degli uomini redenti e in via di santificazione. D’altronde gli elementi della natura inanimata o incosciente, non avendo il libero arbitrio e la possibilità di peccare, non corrono certo il rischio di dannarsi, a differenza di quanti, visto che più nessuno li ferma, sprofondano inesorabilmente nell’abisso.