Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 27 giugno 2015


Divina conversazione
 
 
Le nostre difese di natura dottrinale o canonica, esaminate nell’ultimo articolo, sono il bastione di cui Dio ha cinto la Sua città e che è nostro precipuo interesse conoscere bene: «Osservate i suoi baluardi, passate in rassegna le sue fortezze, per narrare alla generazione futura: “Questo è il Signore, nostro Dio, in eterno, sempre”» (Sal 48 [47], 14-15). Dato però che il nemico è riuscito a penetrare nella santa Città con il cavallo di Troia delle false opinioni, Colui che è lo stesso ieri, oggi e sempre (Eb 13, 8) ha messo a nostra disposizione anche armi di natura spirituale per quel quotidiano combattimento che è sempre stato necessario, ma che oggi lo è più che mai, visto che i sacri Pastori fuggono davanti ai lupi o, peggio, spalancano loro le porte dell’ovile. «Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove» (Ef 6, 13).
 
Cominciamo allora con quell’arma che non ricorre per prima nella lista approntata da san Paolo, ma riveste una priorità dal punto di vista teologico. L’Apostolo segue effettivamente – si direbbe oggi – un ordine di tipo “pastorale”: bisogna anzitutto cingersi i fianchi con la verità e rivestirsi della corazza della giustizia (cf. Ef 6, 14), in altre parole assicurarsi che la propria fede personale aderisca strettamente alla sana dottrina e fare in modo che la propria condotta sia inattaccabile dal punto di vista morale. Tutto questo suppone però che si sia afferrata la spada dello Spirito, cioè la Parola di Dio (Ef 6, 17): la divina Rivelazione fissata nella Sacra Scrittura, fedelmente trasmessa dalla Chiesa nella Tradizione e autenticamente interpretata dall’autorità competente nel Magistero. Al di fuori della Tradizione e del Magistero, guidati dallo Spirito Santo (cf. Gv 14, 26; 16, 13), è impossibile comprendere correttamente i testi biblici, ispirati da quel medesimo Spirito.
 
Non si può dunque leggere la Bibbia come se si fosse i primi a farlo, ma occorre porsi nell’alveo di quel grande fiume che è rappresentato dai Concili, dai Padri, dai Papi e dai Santi, sotto la scorta di Colei che, nella Sua vita terrena, conosceva perfettamente le sacre Scritture ed era ricolma dello Spirito di verità più di tutti i cristiani di ogni tempo messi insieme. Questo è l’unico modo cattolico di ascoltare la divina Parola; gli svariati commenti in circolazione, compresi quelli al lezionario festivo e feriale, anche se di autori di grido che vanno per la maggiore, sono il più delle volte vere e proprie contraffazioni del messaggio biblico ed evangelico, basandosi su travisamenti e forzature che lo riducono a pretesto di puerili illusioni e di banale moralismo del tutto sganciati dalla sana dottrina come dall’effettiva realtà umana, che essi pretendono di illuminare. I commenti che hanno pretese scientifiche, invece, quand’anche non riducano l’annuncio cristiano ad una variante del Giudaismo, hanno in genere il difetto di limitarsi ad un’analisi del testo certo accurata e obiettiva, che esclude però, per speciose ragioni di metodo, il doveroso ricorso alla dimensione dogmatica dell’analogia fidei (cf. Dei Verbum, 12), lasciando così aperta la via a qualsiasi conclusione teologica, anche erronea.
 
Non intendo certo proporre un nuovo metodo di meditazione della Sacra Scrittura: ci sono già tanti maestri incomparabilmente più autorevoli, dai commenti patristici di singoli libri della Bibbia alla monastica lectio divina (illustrata nella Lettera di Guigo II il Certosino), al metodo che sant’Ignazio di Loyola descrive nei suoi Esercizi spirituali… senza disprezzare, per quanto riguarda i Vangeli, quelle rivelazioni private che ce ne rappresentano i fatti in modo vivido e coinvolgente. Un utile sussidio sono le sintesi di storia biblica e le vite di Cristo di autori riconosciuti, quali Ratzinger e Ricciotti. Le ricostruzioni contemporanee della Sua figura storica, come osserva Benedetto XVI nell’introduzione al suo Gesù di Nazareth, non fanno altro, di solito, che descrivere l’idea che l’autore ne aveva in partenza, in base alla quale seleziona e interpreta i dati con “scientifica” acribia. In realtà il Gesù storico – ribadisce il Papa – è il Cristo della fede; ammettere una distinzione tra i due – aggiungiamo discretamente – significa rinnegare la fede cattolica e porsi fuori della Chiesa, con evidente e grave pericolo di dannazione eterna.
 
Ora, se è indispensabile una retta conoscenza del Signore e della Sua salvifica Parola, è altresì necessario interiorizzarla, sempre con il Catechismo a portata di mano, mediante un’assimilazione vitale che plasmi la coscienza individuale e diventi impulso a comportamenti conformi alla volontà di Dio, riconosciuta e amata quale via di salvezza: «Porrò la mia legge nel loro intimo, la scriverò sul loro cuore» (Ger 31, 33). «Conservo nel cuore le tue parole per non offenderti con il peccato. […] Se la tua legge non fosse la mia gioia, sarei perito nella mia miseria. […] La tua parola nel rivelarsi illumina, dona saggezza ai semplici» (Sal 119 [118], 11.92.130). Qui si attua quella sinergia tra l’azione dello Spirito Santo e la collaborazione dell’uomo che si ritrova in tutto l’operare della grazia, conducendo la natura ad una conversione sempre più completa. Una lettura autenticamente spirituale della Bibbia è una lettura amorosa che la bagna di lacrime, lacrime di compunzione per i propri peccati e di gratitudine per la misericordia divina.
 
Dopo aver posto, esteriormente e interiormente, uno spazio libero tra sé e i propri pensieri, occupazioni e preoccupazioni; dopo aver raccolto tutte le facoltà nel centro del cuore per invocarvi la luce dello Spirito Santo; dopo aver letto lentamente e più volte il testo, meditandolo secondo il metodo prescelto e con l’eventuale aiuto di validi sussidi… piuttosto che trarne arbitrariamente norme di comportamento, del resto già fissate da chi di dovere, o dedurne affrettati propositi irrealistici, per quanto generosi, chiediamo umilmente quella grazia che la Parola stessa ci ha suggerito come la più urgente e necessaria, attivamente disposti a cooperare con essa mediante l’esercizio della virtù corrispondente. Se il Signore vorrà, la sincerità e l’intensità della nostra preghiera ci innalzeranno alla Sua santa presenza facendocene gustare l’inesprimibile dolcezza: «… e li disseti al torrente delle tue delizie» (Sal 36 [35], 9).
 
Simile frequentazione della Sacra Scrittura, per quanto possibile regolare, ci formerà gradualmente ad un dialogo intimo e costante con il Salvatore. Non quell’apparente dialogo rivendicato da chi non Lo conosce e che non è altro, in realtà, che un monologo di auto-conferma, ma quel dialogo effettivo, impregnato di timore e riverenza, di chi sa di non essere autore, da solo, se non della propria miseria, essendo debitore di ogni cosa buona all’infinito Amore che non è amato… Sì, piangi, anima mia, piangi senza sosta per averlo amato troppo tardi e troppo poco; piangi per chi non l’ama, per chi lo offende e lo calpesta, per chi in tal modo si danna già in questa vita; piangi per l’insondabile tenerezza che non trova chi la accolga… Questo pianto ti lavi, ti purifichi, ti rigeneri; ti spalanchi le porte dell’abisso, di quell’abisso di misericordia in cui non cade se non chi vuole e non vuol cadere se non chi lo conosce. Tuffati e sprofondaci senza voler sapere, senza voler capire; quando tornerai in superficie – alla superficie di questo mondo tenebroso che respinge Dio – rivedrai ogni persona portata in grembo dalla divina compassione, ogni cosa abitata dalla divina presenza, ogni fatto disposto dalla divina provvidenza.
 

sabato 20 giugno 2015


Le armi della nostra battaglia
 
 
Al séguito della Regina del cielo e della terra, bella e terribile come schiere a vessilli spiegati (cf. Ct 6, 4), la quale non può che incutere timore ai nemici della verità – di quella Verità vivente che si è incarnata in Lei –, ci accingiamo ad attaccar battaglia per il trionfo del Suo Cuore immacolato e, per mezzo di esso, per l’avvento del Regno di Dio. Il Creatore ha voluto la cooperazione della creatura libera nella realizzazione della Sua opera divina; perciò Colei che compendia in sé tale cooperazione è necessariamente la nostra guida migliore, visto che per il medesimo motivo rappresenta altresì, nella propria persona, l’inizio e il compimento dell’opera stessa in cui la Trinità santissima si estrinseca al di fuori dell’eterna circolazione d’amore che La costituisce.
 
In procinto di far guerra bisogna dapprima esaminare tre aspetti. Occorre anzitutto identificare con precisione il nemico da combattere, soprattutto in una situazione confusa come la nostra. In ultima analisi, non può trattarsi che dei dominatori di questo mondo di tenebra, gli spiriti del male (Ef 6, 12); a livello umano, sono pure quanti lavorano a loro servizio, ossia quelle forze dell’Anticristo che, sotto forme diverse ma dal comune denominatore, operano lungo i secoli allo scopo di limitare, per quanto permesso da Dio, l’estensione della vittoria di Cristo agli uomini da Lui redenti. La loro innominabile regia va attualmente individuata nella massoneria sionista, che è arrivata a dominare il mondo e si è profondamente infiltrata nella Chiesa. Una volta riconosciuta la loro matrice, non vale più la pena di gridare allo scandalo e di strapparsi i capelli per i quotidiani – e abominevoli – deliri che sentiamo; dobbiamo pur preservarci la salute…
 
In secondo luogo, bisogna studiare bene la strategia – o meglio lasciarsela insegnare, in questo caso, dal Cielo. Nelle storie bibliche delle battaglie di Israele, generalmente il Popolo eletto non prende l’iniziativa di aggredire l’avversario, a meno che non si tratti di progetti umani, che si risolvono regolarmente in disastro. Guidato da giudici o da profeti, esso aspetta che siano i nemici a radunarsi in un dato luogo, nel quale potrà agevolmente valutarne le forze e vedere qual è il tipo di attacco più idoneo per avere successo. A questo punto il gioco è fatto: anche con scarsi effettivi, il Signore assicura la vittoria. Visto che la grazia suppone la natura, quei prescelti hanno comunque il compito – ed è l’ultimo elemento da considerare – di selezionare le armi adatte e di esercitarsi assiduamente nel loro impiego.
 
Venendo a noi, i nemici sono ormai venuti allo scoperto: basta verificare la conformità o meno delle loro parole e azioni con l’immutabile dottrina della fede e della morale cattoliche. Il maggiore inconveniente è che essi occupano ormai posti molto elevati nella gerarchia ecclesiastica; oltretutto contrabbandano le loro nefande opinioni sotto mentite spoglie di Vangelo e di misericordia. Alcuni di loro hanno altresì sviluppato capacità acrobatiche talmente audaci che riescono, con discorsi estremamente fumosi e involuti, a salvare regolarmente capra e cavoli – o almeno così credono: chiunque abbia anche solo un’unghia di senso critico si rende perfettamente conto che tali personaggi, sui famosi princìpi non negoziabili, dimostrano una viscida e sfuggente ambiguità, mentre sulle rivendicazioni della deriva relativistica sono perentori… nel sostenerle.
 
Occorre dunque attendere che si riuniscano di nuovo, in modo che i due fronti, già sostanzialmente  delineatisi l’anno scorso, si schierino compatti e possiamo definitivamente distinguere i veri Pastori (ai quali tributare appoggio e obbedienza) dai lupi travestiti da agnelli (i quali, per le loro posizioni anche solo materialmente eretiche, di fatto hanno perso nella Chiesa qualsiasi diritto e giurisdizione e vanno pertanto ignorati). Fu papa Paolo IV, nel 1559, a stabilire con decreto irreversibile e dogmaticamente irreformabile l’immediata decadenza da qualsiasi carica per i prelati caduti in eresia (cf. Bolla Cum ex apostolatus officio); i fedeli sono perciò del tutto liberi, nella loro coscienza come nelle loro scelte, di non seguirli affatto, sono anzi tenuti a rifiutare loro l’obbedienza e qualsiasi altro tipo di riconoscimento. All’epoca della Riforma poi detta gregoriana, san Leone IX (la cui memoria liturgica cade proprio il 19 aprile) ordinò ai cattolici di disertare le celebrazioni dei chierici simoniaci o concubinari e di privarli del sostentamento; perché, a maggior ragione, non applicare lo stesso trattamento a quelli che distorcono la sana dottrina? Se le firme sulla dichiarazione dei redditi, nonostante tanta pubblicità, sono in costante calo, non è forse perché questo è giusto e voluto da Dio?
 
Le nostre prime armi sono dunque il dogma (per riconoscere il nemico), il diritto (per privarlo della forza) e la disciplina (per neutralizzarlo completamente). Le tre armi sono strettamente legate e gerarchicamente ordinate, in quanto derivano l’una dall’altra. Con il dogma identifichiamo l’eresia in materia di fede o di morale, che sono del resto inseparabili; con il diritto ci sottraiamo all’autorità abusiva di chi la professa; quanto alla disciplina, gli neghiamo obbedienza e sostegno economico (il punto più sensibile!). Sapete come ha reagito l’ultraliberale – e ricchissima – Chiesa tedesca alla minaccia finanziaria costituita da quanti si rifiutavano di pagare l’onerosa tassa ecclesiastica? Dichiarandoli nientemeno che apostati… ma papa Benedetto XVI ha solennemente smentito la posizione intransigente di quei vescovi tanto misericordiosi che dànno la santissima Eucaristia a chiunque – eccetto a coloro che non hanno i soldi per pagarli.
 
Coraggio, in fondo è soltanto l’attacco finale del diavolo, la battaglia decisiva tra il regno di Cristo e l’impero di Satana, che d’altronde ha già perso la guerra. Lo scontro si concentra ormai sulla natura stessa dell’essere umano, che è immagine di Dio particolarmente nella sua declinazione evidente in maschio e femmina quali varianti complementari e riproduzione creata della comunione divina; distruggendone l’immagine visibile, si vuole estromettere dal mondo anche la presenza di Colui che ne è rappresentato. Per raggiungere lo scopo, l’Avversario ha corrotto, per porla al proprio servizio, una parte consistente del clero, che nel frattempo ha salito via via tutti i gradini della gerarchia… Noi siamo agli ordini di quella Donna che, secondo i santi Padri, sconfigge tutte le eresie, avendo già schiacciato la testa del serpente nell’attimo stesso del Suo concepimento.
 
Dignare me laudare Te, Virgo sacrata.
Da mihi virtutem contra hostes Tuos.
 

sabato 13 giugno 2015


Il rifugio dei figli
 
 
Cuore immacolato di Maria, tu ci hai rapito il cuore. L’infinita delicatezza dei tuoi sentimenti è un balsamo di vita per i figli che combattono in questo mondo di tenebra, che con odio ha estromesso Dio e voltato le spalle a tuo Figlio, il divino Redentore dell’umanità perduta e votata all’eterna dannazione a causa del peccato originale e di tutti i peccati, individuali e collettivi, che ne sono scaturiti. La sfacciata arroganza e la violenta intolleranza di chi si pretende al di sopra di qualsiasi giudizio morale sono un’offesa continua alla Sua misericordia, come pure l’insensibile freddezza e la cieca indifferenza di chi si compiace follemente del pantano in cui giace supino. Tu, cuore di madre, continui a soffrire le doglie del parto come sotto la Croce, pur essendo ormai ricolmo della beatitudine eterna ad un grado che supera quello di tutti i Santi e gli Angeli insieme.

Come potremmo non urlare di dolore nel vedere un affetto così delicato e premuroso coperto di insulti, bestemmie e rifiuti?… Non soltanto a livello verbale, ma pure sul piano intellettuale con la negazione dei tuoi privilegi irripetibili e, più in generale, con una visione deteriore della donna che oltraggia anche te. Ogniqualvolta una donna è incitata a fornicare, commettere adulterio, prostituirsi, abortire o ricorrere alla contraccezione sei offesa in primo luogo tu, o Madre, modello perfetto della donna quale Dio l’ha pensata quando, nel Suo eterno consiglio, cercava una sposa per suo Figlio: pur non avendone in sé bisogno, il Verbo divino desiderava infatti donarsi totalmente, come già al Padre Suo nell’eterna circolazione d’amore della Trinità santissima, all’essere creato, nel quale si riproducono le Sue perfezioni sublimi.

Tu, o Maria, realizzi in modo perfetto e insuperabile la vocazione della creatura, rappresentata dalla donna, che risponde all’amore di Chi l’ha tratta dal nulla. Fiat… in una sola parola hai dato la risposta che il Creatore attendeva dall’alba dei tempi, e il Verbo ha sposato l’umanità che veniva a redimere dal potere abusivo dell’Avversario, invidioso di un destino tanto glorioso. Quelli che Dio da sempre ha conosciuto li ha predestinati ad essere collocati al di sopra di tutte le gerarchie angeliche: la natura umana, che il Figlio ha assunto da te e che in te ha elevato ad uno splendore inimmaginabile, è sul trono celeste per tutta l’eternità, in attesa che tutte le membra Gli siano riunite. A questo anela l’anima nostra, che in voi possiede il pegno e la caparra di tutte le promesse divine: come potrebbe dubitare di raggiungere la mèta, se non per diffidenza di se stessa?

Se quest’anima geme, cedendo talvolta a sdegno indomabile che rischia di distruggerla, è perché non tiene lo sguardo fisso su di te, o Vergine prudentissima e fedele, che sola puoi rasserenarla con la grazia inesauribile di Colui che da te è sorto quale Sole di giustizia e attraverso di te continua ad effonderla sino alla consumazione dei secoli. Perdonale la pusillanime incostanza, purificala dall’orgoglio dissimulato e nascondila nel tuo Cuore purissimo per fasciarne le ferite e rinfrancarne la fiducia. Nei tuoi Santi hai curato sofferenze ben peggiori: Serafino lasciato dai briganti in fin di vita nella taiga di Sarov, Mariam sgozzata tredicenne da un fanatico musulmano, Pio crocifisso come tuo Figlio per cinquant’anni… Di che dovrei lamentarmi?

So bene – mi rispondi con incomparabile dolcezza – che il tuo è un martirio interiore, un martirio che dura da trent’anni. So bene come il tuo cuore di fanciullo continui ancora ad essere stravolto da ciò che vede e sente nella Chiesa, non potendo fare a meno di rimanerne costernato. So bene che le tue speranze e i tuoi ideali sono sepolti sotto un cumulo di macerie e di dolori. Ma non sei solo. Tante altre anime – di sacerdoti, religiosi, seminaristi e fedeli – soffrono in silenzio credendosi isolate e incomprese, spesso con lo scrupolo terribile di essere in errore. In realtà la vostra sofferenza è buon segno: è prova che avete conservato la fede. Se non soffriste così, dovreste preoccuparvene – ma non potreste, perché sareste accecati dalla corruzione generale dalla quale vi ho tratti come perle dal fango. Se non vi avessi scelto, vivreste sereni e spensierati come gli altri, senza avvedervi degli scogli mortali verso i quali la nave è diretta a tutta velocità, sotto la guida di falsi nocchieri.

Dovete formare una rete di autentici cattolici che si sostengano a vicenda con la preghiera, con i rapporti umani e con uno scambio fraterno che non sia mero sfogo e ricerca di conferme, ma condivisione dei doni della grazia che mio Figlio, attraverso di me, distribuisce su di voi con una larghezza che non si è mai vista, proporzionata alla gravità della prova. Non vi rendete conto dei benefici di cui godete: molti Santi, sebbene gratificati con doni mistici straordinari, non hanno dovuto affrontare una lotta come la vostra; voi avete ricevuto grazie singolari, corrispondenti ad una situazione assolutamente inedita. E poi, siete tutti al sicuro nel mio Cuore immacolato; se così non fosse, il nemico infernale vi avrebbe già spazzati via come foglie secche, perché non sopporta proprio che ci sia chi resista alla sua ultima e più radicale seduzione: siete per lui come sabbia tra i denti, come uno schiaffo al suo orgoglio smisurato.

Al momento da me indicato potrete uscire allo scoperto e gridare di nuovo la verità sui tetti. Per ora radunatevi di nascosto come i primi cristiani e come i miei figli attualmente perseguitati; sfruttate tutte le risorse che la Rete vi mette a disposizione per il bene. La fretta e la precipitazione non portano nulla di buono, potrebbero invece mandare tutto in fumo. Il diavolo conosce bene, in voi, i rimasugli di superbia camuffata con buoni sentimenti ed è esperto nel toccarne le corde per spingervi a passi imprudenti che vi rovinerebbero, distruggendo l’opera sul nascere: non prestatevi al gioco, ma avanzate sereni – per quanto possibile – sul sentiero che vi sto indicando passo passo. Se mi amate, fidatevi di me e non vogliate sapere più del necessario: non vi importi cosa dovrete fare domani, vi basti ciò che vi dico di fare oggi. Siete come olivi verdeggianti, ben radicati nella casa di Dio; abbandonatevi alla Sua fedeltà, ora e sempre.
 

sabato 6 giugno 2015


Fino a quando verrò


Id quod habetis tenete donec veniam (Ap 2, 25).

Fino a che il Signore non ritorni, teniamo ben stretto ciò che abbiamo ricevuto: sono i mezzi della salvezza, anzi è la sua stessa vita già germogliata in noi, è Lui stesso vivente in noi: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20); «Egli è il vero Dio e la vita eterna» (1 Gv 5, 20). Non lasciamoci rubare Cristo, non lasciamoci estromettere dalla Chiesa: Extra Ecclesiam nulla salus (cf. DS 802, 870, 1351). Parliamo della salvezza eterna, la cui sola alternativa è l’Inferno, non della lotta alla crisi o alla disoccupazione, che sono salutari castighi per una società che ha rigettato Dio e ricusa ostinatamente di ritornare sulla retta via. Non lasciamoci distogliere dalla vera speranza, quella celeste, che poggia sull’offerta redentrice del Verbo incarnato e sulle Sue infallibili promesse; quella di cui già possediamo la caparra nelle primizie dello Spirito Santo, grazie al quale «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori» (Rm 5, 5; cf. Rm 8, 23; 2 Cor 1, 22; 5, 5).

«Se il nostro evangelo rimane velato, lo è per coloro che si perdono, ai quali il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula, perché non vedano lo splendore del glorioso evangelo di Cristo, che è immagine di Dio» (2 Cor 4, 3-4). I ciechi, purtroppo, sono ormai innumerevoli, nella società e nella Chiesa stessa; chi non ha coltivato e custodito una fede retta e viva non ha difese dagli inganni di Satana, dio di questo mondo, e ingoia supinamente tutto ciò che i suoi scagnozzi gli propinano. La massa tumorale composta di questi poveretti – nonché di quanti l’hanno provocata spargendo le tossine di un falso insegnamento – ha ormai invaso con le sue metastasi tutta la componente terrena del Corpo mistico; l’unica soluzione è una conversione radicale, ma ci vorrà una terapia d’urto… Per decenni i sintomi della malattia, sebbene sempre più evidenti, sono stati non semplicemente ignorati o tollerati, ma molto spesso applauditi e incrementati come indice di buona salute, frutto di un indiscutibile progresso e rinnovamento.

Da questo punto di vista, sarebbe assurdo che le cellule sane si sentissero estranee al corpo perché quelle cancerose sembrano più forti e numerose. Le prime non possono avere nulla a che spartire con le seconde, pena l’essere a loro volta contagiate, ma non per questo sono fuori della Chiesa, nonostante il cancro sia arrivato fino alla sala-comandi, che per questo sta andando in tilt. È ovvio che questa situazione paradossale non possa essere indolore per la parte ancora immune, che soffre e geme nelle doglie del parto; ma quest’ultima non deve lasciarsi smuovere di un millimetro dalla certezza di fede – e dalla consolazione spirituale che ne deriva – di essere la vera Sposa di Cristo. Quel settore della Chiesa visibile che lo ha tradito e, come una belva indiavolata, ne sta dilaniando il Corpo, di fatto non vi appartiene più, se mai ne ha fatto parte realmente. Da quest’opera diabolica di demolizione dall’interno possiamo e dobbiamo difenderci rimanendo saldamente convinti che non siamo affatto “fuori”, ma dentro più che mai, dentro quel Gesù che, sulla terra, è in agonia sino alla fine del mondo, sia in senso temporale che in senso geografico.

Abbiamo tutti i mezzi necessari per conservare la vera fede e l’unione reale al Corpo mistico: l’Eucaristia, la Sacra Scrittura, la Tradizione vivente nei Padri, nei Concili, nella Liturgia, il Magistero autentico fino all’ultimo Papa eletto in modo certo (riguardo al successore, san Roberto Bellarmino sentenzia: Dubius papa habetur pro non papa). Ciò che ci è stato trasmesso è immutabile, in quanto dottrina rivelata di origine divina: «La verità è principio della tua Parola: resta per sempre ogni sentenza della tua giustizia» (Sal 119 [118], 160). In ebraico il termine verità (’emet) appartiene all’ambito semantico della stabilità e della fedeltà, espresso dalla stessa radice della parola amen: Dio non può cambiare né venir meno alle Sue parole. La grazia o misericordia (ḥesed) è inseparabile dalla verità così intesa, al punto che i due termini ricorrono spessissimo associati in endiadi per qualificare il Dio della Bibbia (cf. per es. Es 34, 6). Una reale – e non immaginaria – fruizione della misericordia divina suppone pertanto un’adesione incondizionata alla Rivelazione cristiana – un’adesione vitale, capace di trasformare la coscienza individuale e di modificare l’esistenza concreta. Il resto è illusione, narcisismo, vanità… impuro e peccaminoso godere di sé.

La parte malata della Chiesa militante, in fin dei conti, ha avuto dal buon Dio ciò che voleva: un capo che ne sancisse il tradimento e l’apostasia facendoli passare per sorprese dello spirito; rimane peraltro da chiarire a quale spirito ci si riferisca. La Provvidenza ha così avviato un’operazione-verità con cui sta distinguendo, nel Corpo mistico, le membra vive dalle membra morte, facendo venire allo scoperto chi, secondo l’efficace espressione agostiniana ripresa dal Vaticano II, è nella Chiesa con il corpo, ma non con il cuore (cf. PL 43, 197; LG 14). Secondo il grande Dottore non basta essere battezzati, se è vero che lo stesso Battesimo salva gli uni e danna gli altri: Eodem Baptismo et boni catholici salvi fiunt, et mali catholici vel haeretici pereunt (De Baptismo contra Donatistas, 5, 28: PL 43, 198). Anche questo passaggio al vaglio è espressione di misericordia: per i veri cattolici, perché riconoscano i falsi e ne prendano le distanze; per gli altri, perché si rendano conto che non tutti sono con loro e, quando verrà il castigo purificatore, si ricordino che c’è ancora una possibilità di salvezza: tornare sulla via di sempre, accessibile a chiunque si decida a seguirla con l’aiuto della grazia.